di STEFANO BRUSADELLI
Al dibattito lodevolmente avviato da Professione Reporter sul presente, e soprattutto sul futuro, del nostro mestiere (Roidi, Martini, Mennella, Manfellotto) anch’io vorrei portare un contributo. Limitandomi però alla situazione della carta stampata in Italia. Davvero, dopo due secoli di gloria, ad essa non resta che rassegnarsi ad un inesorabile declino, appena lenito dal parziale travaso dei lettori nelle edizioni digitali ?
I dati sulle vendite e sui fatturati pubblicitari dicono di sì. Acquisire o mantenere un quotidiano (tanto più un news magazine) appare oramai un’impresa suicida dal punto di vista economico, giustificabile solo se si vuole offrire al potere di turno un appoggio da scambiare con agevolazioni per altri e più corposi interessi degli editori. Inutile dunque sperare che costoro decidano di investire sui loro media per migliorarne la qualità. E’ già tanto che ne coprano le perdite.
pagine in fotocopia
Ciò detto, vediamo però come sono fatti (quasi tutti) i più diffusi quotidiani che escono nel nostro Paese.
Prime pagine quasi in fotocopia, con le stesse 4-5 notizie e uno o (di rado) due titoli legati all’area di radicamento della testata. Servizi politici costituiti in buona parte da reazioni e commenti a dichiarazioni dei vari leader. Cioè chiacchiere montate su altre chiacchiere. Pagine economiche costruite con i comunicati di banche e aziende, per lo più contenenti mirabolanti risultati gestionali, cosicché se ne potrebbe dedurre che la nostra economia, anziché arrancare, stia correndo a livelli della Cina pre- Covid. Sezioni spettacoli e cultura appaltate agli uffici stampa di attori, cantanti, registi e case editrici. E per condire il tutto, qualche focus su personaggi resi celebri dalle televisioni o dai social. Riassumendo: news quasi tutte già note dal giorno prima, un po’ di pubblicità occulta, molte interviste a personaggi già famosi e tante opinioni, che si aggiungono a quelle già riversate quotidianamente nell’infosfera da talk show, blog e social.
Per i news magazine la situazione appare ancora più grave. Con il riposizionamento dei vari prodotti (il web e i canali alla news sono diventati i nuovi quotidiani, e questi ultimi si sono settimanalizzati), loro sono finiti ai margini del mercato.
redazioni giovani
Ma davvero non si possono fare giornali e news in modo diverso solo perché gli editori non investono, le redazioni sono sguarnite e gli inserzionisti sono sempre più pretenziosi ?
Io dico di no. E a dimostrarlo è la stessa storia del giornalismo italiano.
Tra gli anni Cinquanta e Sessanta testate come l’Espresso, Panorama, L’Ora, Il Giorno, hanno conquistato milioni di lettori pur con redazioni giovani e senza i mezzi dei grandi quotidiani dell’epoca. Ci sono riusciti seguendo tutti la stessa formula: il coraggio dell’originalità. Ignorando il mainstream, sono andati a cercarsi storie che nessuno aveva ancora raccontato in quello sterminato giacimento che è l’Italia. Bastava “consumare la suola delle scarpe“, evitare i sentieri troppo battuti, non essere mai accomodanti, scardinare con tenacia le saracinesche informative che però hanno sempre dei punti deboli.
“Se abbiamo fatto una prima pagina uguale o simile a quella del Corriere dobbiamo chiederci dove abbiamo sbagliato”, dice Gaetano Baldacci, direttore de Il Giorno dal ‘56 al ‘60. Nel 1957 l’Espresso pubblica ”I pirati della salute”, inchiesta sulle industrie farmaceutiche e sul business dei medicinali rimborsati dalle mutue. L’Ora, che per il suo coraggio perderà ben tre cronisti per mano mafiosa, nel ‘58 non esita a isolarsi dal tessuto sociale siciliano denunciando con ampio supporto documentale le collusioni tra mafia, imprenditori e potere politico. Per capire il fenomeno dell’emigrazione dal Sud al Nord, Ugo Zatterin, inviato del neonato Panorama (siamo nel 1962) non si rivolge ai politici o ai centri studi, ma sale sulla Freccia del Sud, il treno che con un viaggio di 24 ore collega Siracusa con Milano.
menu disallineati
Esempi datati ? Niente affatto. Attualissimi, tutti.
Un giornalismo di tal fatta sarebbe in grado di invertire la crisi della carta stampata ? Forse no; ma quantomeno, potrebbe tamponarla, rendendo anche più dignitoso il compito dei colleghi che ci lavorano. E del resto non è forse vero, già oggi, che a reggere (o a perdere meno copie) sono testate come Il Fatto, Il Foglio, Avvenire, Il Domani, che portano in edicola menu informativi sempre disallineati rispetto alla concorrenza?
Quanto ci sarebbe da scoprire – tanto per fare qualche esempio – nei gabinetti e negli uffici legislativi dei ministeri! O dietro il giro delle grandi sponsorizzazione sportive. O nel business della salute e dei farmaci. E quali ricchezze giornalistiche serbano le nostre città di provincia, le periferie urbane, le università, i centri di ricerca, persino le parrocchie! Ma gli interessi degli editori, si potrebbe obiettare, dove andrebbero a finire a causa di una tale estrosità?
Rispondo che sulle colonne di un giornale costruito con attendibilità e originalità, e con la capacità di distribuire dispiaceri a tutti, amici e nemici, (ma qui ci vorrebbero più direttori con la schiena dritta…), le scelte partigiane finirebbero persino con il risultare più incisive, e più convincenti. La lezione dell’irripetibile Panorama diretto da Lamberto Sechi tra gli anni Sessanta e Settanta era che l’imparzialità dei reportage non dovesse impedire al direttore di esprimere la propria scelta di campo attraverso gli opinionisti. Beninteso, a condizione che le opinioni fossero ben distinte dalle notizie.
I giornali sono alle prese con una crisi acuta, mitigata solo in parte dallo sviluppo del digitale. Non è, comunuqe la si guardi, una disgrazia piovuta dal cielo. Il declino ha cause molte terrene come ci dimostra il sito Professione Reporter che a più riprese ospita interventi di colleghi che, con lucidità e onestà intellettuale, descrivono il vero stato dell’informazione. La crisi della carta stampata chiama in causa i giornalisti per alcune verità che stentavano a venire a galla perché coperte dal fragore della cronaca, tra cui la mancanza del coraggio di scavare, di perlustrare territori oggi abbandonati ma che custodiscono molti fatti e notizie interessanti, meritevoli di andare in prima pagina. Predomina il conformismo di una stampa normalizzata (è sufficiente seguire la rassegna televisiva dei titoli dei giornali) sempre uguale, piatta, con un preoccupante sospetto sulla deriva professionale: molti giornalisti sono stati intimiditi, piegati al potere politico e a quello economico. Quest’ultimo ha sì la forza per mandare avanti le imprese editoriali ma non la competenza e l’interesse a gestirle pensando soprattutto ai lettori. Il caso Gedi è illuminante: tanta spocchia e poca resa. Guardare sempre dall’alto il mondo sottostante fa apparire i lettori come formiche. Se guardiamo alle nostre spalle, al nostro passato umano e professionale ci accorgiamo, inoltre, che oggi sono una rarità i direttori con la schiena dritta. Sono le mosche bianche del giornalismo del terzo millennio che, a ben guardare, potrebbero essere invece determinanti per farci superare la crisi.