di ALBERTO FERRIGOLO

“Noi comunichiamo quello che facciamo. Non abbiamo fatto ancora niente e non comunichiamo niente”. È la frase che attribuisce Francesco Verderami, retroscenista del Corriere della Sera, al premier Draghi, nel suo articolo di domenica 14 febbraio, pronunciata nel corso della prima riunione del Consiglio dei ministri, sabato, al termine del giuramento del premier e di tutti e 23 i capi di dicastero, con e senza portafoglio. Secondo Verderami, Draghi è concentrato sui temi, “non certo sulla comunicazione”, tanto che quando alla riunione di governo è stato sollevato il tema, è intervenuto “dando un primo segno della novità”, appunto.

Tuttavia, sulle stesse colonne, a pag. 31, nella sua rubrica “Italians”, Beppe Servergnini (”Ora silenzio, per favore”) si chiede: “Cosa si aspettano, all’estero, dal nuovo governo Draghi?”. La risposta del giornalista è: “Meglio indicare una cosa da non fare: confusione”. Quindi offre dei consigli al nuovo esecutivo e al suo presidente: “Per evitare la confusione non basta limitare gli obiettivi (sarebbe già molto). Non è sufficiente portare a termine i progetti, invece di abbozzarli e passare ad altro. Bisogna parlare meno. Ogni annuncio rimandato, ogni proclama evitato e ogni litigio schivato costituisce un successo. Questo non significa che noi -gli elettori- desideriamo essere tenuti all’oscuro. Vuol dire che non vogliamo essere frastornati da parole inutili”.

interviste limitate

Tutti consigli che sembrano essere in sintonia con lo stile del nuovo Presidente Draghi, l'”alieno”. Un repentino allineamento? Si chiede il rubrichista: “Questo invito è contrario al nostro interesse come giornalisti? Per nulla”, si risponde Servegnini. “Sui giornali, in radio e nei talk-show –prosegue– è giusto riferire e commentare cosa fa il governo, ma non è necessario che ci sia sempre un sottosegretario presente. Le interviste non vanno abolite: vanno limitate. I social servono per la discussione nazionale, non per la comunicazione istituzionale”. L’era Casalino è archiviata, in meno di 48 ore. Ma ancora: “Meno è meglio, anche in politica. L’invito non vale solo per i componenti del governo Draghi, ma anche per i loro referenti nei partiti, quando ne hanno. I leader -Salvini, Renzi e Di Maio su tutti- ci hanno abituato a una comunicazione torrenziale: tweet, post, foto, filmati, condivisioni, trasmissioni radiofoniche e televisive. Basta. I tempi sono troppo complicati per sprecare tempo, fiato ed energie”. Il messaggio è chiaro? Sembra quasi voler dire: lasciamo stare il manovratore.

Su la Repubblica anche Natalia Aspesi si esercita con i modi comunicativi del Presidente Draghi, e, a partire dal magro inserimento di donne nella compagine di governo (solo 8 su 23 ministri), scrive: “Devono aver tutti tirato un sospiro di sollievo quando il premier Conte è stato un gran signore e ha tolto il disturbo, cosa che nessuno dei suoi se non spintonato avrebbe mai fatto”. Adesso, annota la giornalista, “c’è questo professor Draghi, atteso come il salvatore della patria in poche mosse, tutti speranzosi di meraviglie tanto da stare zitti, per un paio di giorni, il chiacchiericcio affidato a cartomanti, chiromanti, illusionisti, lettori di tarocchi, profetesse; ma come ovvio solo un minuto dopo che in quanto premier incaricato Draghi ha comunicato la formazione del nuovo governo approvata dal presidente Mattarella, c’erano già dei musi tremendi e un vociare scomposto”. Per poi definire il premier “quell’uomo angelicamente attraente che è Mario Draghi, intoccabile, indecifrabile”, ovvero “una assoluta novità rispetto ai ridenti o maledicenti chiacchieroni cui ci eravamo abituati: ha elencato i suoi prescelti secondo il loro titolo di Dottore, Professore, Onorevole, con una voce sicura, senza sbalzi né pause di preferenza o dubbio. Non una parola in più, non una fuga ma una subitanea scomparsa da Uomo Invisibile, lasciando con un palmo di naso il paziente drappello di reporter”. Nel fare taciturno e sfuggente, Draghi ha già conquistato. Anche i giornalisti, che delle chiacchiere altrui vivono e scrivono.

abitudini tribali

Osserva su Il Foglio Marianna Rizzini in “Fine della tv tribale”: “Draghi getta scompiglio anche in Rai: non si sa come fare a raggiungerlo né a chi chiedere lumi sui futuri assetti: Il mondo capovolto, a guardarlo da viale Mazzini”. E a Rizzini, Aldo Grasso, esperto di tv e firma di via Solferino, dice: “È normale lo spaesamento presso il quartier generale della tv pubblica e privata: specie se si pensa che i talk show, fattisi rissa con il principale scopo di rinforzare l’idea che già ti sei fatto, rischiano, con il nuovo assetto, di non avere più la stessa audience. Dovranno evolvere nella forma”. Insomma, “ci sarà un revival di compostezza, valore che non si riduce all’abito sartoriale, e una liberazione dall’esegesi maniacale dei tweet modello ‘Rocco Casalino’. E, uscendo dallo schema ‘giornalisti amici-giornalisti nemici’, mi auguro si recuperi anche la compostezza, necessaria come l’ossigeno. Ed “essere composti e competenti non vuol dire essere meno vivaci – seguita Grasso – semplicemente non si ragionerà più in termini di ‘invito quello perché fa scoppiare la lite’. Aumenteranno, per così dire, i Cottarelli televisivi. Il mood tribale aveva coinvolto persino i virologi”. “Ecco, usciamo dalla gabbia”. Quindi, conclude il critico tv, “cambiato il contesto, usciremo dallo schema televisivo che ha fatto da specchio ai populismi-sovranismi, e il riferimento alla Gabbia di Gianluigi Paragone non è puramente casuale”.

orari Improbabili

Tra inviti, suggerimenti, analisi e constatazioni su carta, è quasi certo che nell’era Draghi cambieranno parecchie cose nel giornalismo e nella comunicazione politica. Sarà di sicuro siderale la distanza dall’era Casalino. Passando da una comunicazione che ha quasi sovrastato la politica – che è tutto, immagine, social, dirette tv-Facebook-Instagram-conferenze stampa negli orari più improbabili, e a propria volta rilanciate dai social e dalle tv a reti quasi unificate – ad una comunicazione che forse tornerà ad essere “strumento di un’azione di governo”, non tanto politica, perché Draghi sarà o punterà ad essere – per usare un espressione di impronta berlusconiana – “un” o “l’uomo del fare”. Concreto, con pochi fronzoli. Intento a governare e a raggiungere gli obiettivi anche perché ha, volente o nolente, a che fare con tutta una serie di emergenze, siano esse sanitarie, economiche, sociali. Quindi tenderà a governare e gestire queste emergenze e risolvere problemi piuttosto che comunicare. 

Per lo spazio delle chiacchiere, delle virgolette ignote e/o attribuite, dei retroscena ricostruiti e per tutti quelli che lavorano molto anche di “politichese” si potrebbe aprire dunque una stagione difficilissima. A vantaggio di “documenti”, pagine di “dossier”, box di approfondimento sui temi. Come attribuisce Verderami a Draghi: “Noi comunichiamo quello che facciamo. Non abbiamo fatto ancora niente e non comunichiamo niente”.

(nella foto, 10 febbraio, Silvio Berlusconi dopo l’incontro con Draghi) 

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