Giornalisti no, influencer scelti sì. E’ l’ultima clamorosa decisione del governo d’Israele riaspetto alla tragedia di Gaza. Criticata con forza dall’Osservatore Romano del 26 agosto.
Da oltre un anno e mezzo i giornalisti di tutte le democrazie del mondo, i loro Direttori, le loro testate chiedono (appelli, documenti, grida) al governo di Israele: fateci entrare a Gaza senza l’accompagnamento e la censura del vostro esercito, fateci vedere cosa accade veramente. Fateci svolgere il nostro lavoro.
raccontare la verità
Il governo di Israele nega questo accesso, ma tutti i giorni “controinforma” il mondo rispetto alle notizie che arrivano da Gaza, da giornalisti palestinesi (che vivono lì) o da membri di organizzazioni internazionali. I giornalisti non possono entrare e cercare di raccontare la verità, ma il ministero israeliano per gli Affari della Diaspora ha scelto dieci influenze americani e israeliani e li ha portati a Gaza, nella settimana fra il 18 e il 23 agosto. Allo scopo “di lottare contro la campagna di Hamas sulla fame che punta a screditare Israele e per enfatizzare il ruolo dell’Onu, che si rifiuta di distribuire il cibo”.
dolente amarezza
Ha scritto Andrea Monda, Direttore del quotidiano della Santa Sede: “La notizia desta preoccupazione: a Gaza finalmente sono entrati, oltre ai soldati, ai carri armati, alle bombe e ai droni, anche delle altre persone per osservare da vicino, dall’interno, il campo di battaglia. Ma non si tratta di giornalisti, nonostante la richiesta che da mesi quest’ultimi hanno avanzato invano, non sono dei cronisti quelli entrati ma influencer. In particolare alcuni influencer israeliani e americani. Con dolente amarezza si può dire che a Gaza i giornalisti non possono fare altro che morire: sono oltre 200 ad aver perso la vita dal 7 ottobre 2023”.
importanti e potenti
Monda ricorda che si tratta di due categorie ben distinte, pur operando entrambe nel campo della comunicazione: “Mentre i giornalisti dovrebbero esercitare il loro lavoro all’insegna della ricerca oggettiva e della terzietà, questa condizione non è richiesta agli influencer che sono sempre ‘ingaggiati’, in qualche modo ‘arruolati’ ad una causa, anche nobile. Gli influencer sono di parte, sono dei propagandisti”.
Cosa significa quindi questa decisione? “Che oggi gli influencer sono considerati più importanti, potenti e appunto ‘influenti’ dei giornalisti? E che il divieto è imposto alla libera stampa ma non alla propaganda?”.
con altri mezzi
La propaganda -prosegue Monda- è la protagonista, negativa, della guerra: “La guerra è il prolungamento della propaganda con altri mezzi. Perché la propaganda ha già in sé il virus della guerra, della violenza. Non ama il chiaroscuro la propaganda, ma il bianco o il nero, la propaganda aggira la complessità offrendo a piene mani la semplificazione. Se nel mondo fisico infuria la violenza tra gli uomini, diffusa con maggiore o minore intensità, non solo a Gaza ma in tutti i continenti, nel mondo della comunicazione, anch’esso ‘fisico’, si agita un’altra violenza, fatta di parole usate come armi dall’una contro l’altra parte, per meglio dire ‘fazione’”.
curve e tribune
L’illogica logica della tifoseria ha prevalso su tutto ciò che è mediazione, moderazione, senso della complessità e del limite. È il tempo della polarizzazione e della semplificazione che è sempre, rozza, brutale, selvaggia: “Eppure solo dalle tribune centrali si vede bene la partita, la si può cercare di comprendere in tutte le sue sfumature. Ma proprio queste tribune oggi sono interdette e rese inaccessibili, restano solo le curve, curve molto pericolose. Pericolose soprattutto per la realtà più preziosa e più fragile che è in gioco nella vita degli uomini: la verità”.
(nella foto, Andrea Monda, con Papa Francesco)





