di ALBERTO FERRIGOLO

“L’obiettivo è quello di produrre contenuti di qualità che informino, coinvolgano e avvicinino i lettori al brand e ai suoi valori. Inoltre il brand journalism sfrutta la narrazione strategica per comunicare la mission e la visione del marchio o dell’organizzazione, utilizzando le stesse tecniche di storytelling applicate al giornalismo tradizionale”.

È la definizione che di “giornalismo d’impresa” offrono le note conclusive di Raffaele Zarriello, giornalista e formatore, al volume “Tra informazione e marketing”, a cura di Raffaele Fiengo e Christian Ruggiero (Edizioni All Around, pag. 296, euro 15), ricerca promossa dalla Fondazione Murialdi con alcune cattedre di giornalismo e comunicazione dell’Università La Sapienza di Roma.

due temi aperti

Due appaiono i temi aperti. Il primo: le riviste raccontano il volto edificante delle aziende, senza contraddittorio sui lati meno sociali o ecologici. Il secondo, le grandi firme del giornalismo, che spesso sono ospitate sulle riviste in cambio di lauti compensi, si sentiranno poi libere di indagare su quelle stesse aziende?

Senza pubblicità non esisterebbe forse nemmeno il giornalismo nelle sue più diverse forme espressive, sempre nel rispetto d’una netta distinzione dei ruoli: una cosa sono il giornalismo e l’informazione, altra la pubblicità. Commistioni tra i generi sono vivamente sconsigliate, inopportune, e anche vietate per etica e deontologia professionale. Ne va della reputazione del giornalismo e del giornalista, anche se talvolta i confini rischiano d’esser assai labili. E, soprattutto, non dichiarati ai lettori.

nove casi di studio

Il volume in questione sottopone al lettore anche nove “casi di studio”, frutto di altrettante chiamate di tesi di laurea svolte nella Facoltà di Scienza della comunicazione dell’Università La Sapienza di Roma, che tendono a presentare “le opportunità del brand journalism” attraverso l’analisi di altrettanti “house organ”, i magazine aziendali di marchi forti e conosciuti, per dire o verificare il modo in cui “il mondo dell’impresa e quello del giornalismo possono parlarsi con reciproco riconoscimento e vantaggio”. I casi affrontati sono quelli delle testate energetiche di Eni, Edison, Enel, del mondo del food (Lavazza, Rio Mare), dell’universo Lines, dell’azienda tessile Patagonia, oppure di Pirelli e Ford. 

Riviste patinate, fotografiche, dall’abbondante infografica e dalla grafica moderna che invoglia alla lettura, in cui dati e tematiche specifiche s’intrecciano con la loro spiegazione e divulgazione. Riviste rivolte ad un pubblico non di massa, abbastanza targettizzato, che viene raggiunta attraverso l’edicola, il web o con abbonamento.

giacimento in basilicata

Il caso editoriale dell’Eni, l’Ente nazionale idrocarburi fondato da Enrico Mattei nel 1953, viene ripercorso attraverso l’evoluzione delle sue testate, da Gatto Selvatico (1953) a Ecos (anni Settanta) a OilMagazine, diretto per un periodo da una giornalista fuoriclasse come Lucia Annunziata, fino all’arrivo di WE-World Energy (2017) e Orizzonti (2018), interamente dedicato alla Val d’Agri, in Basilicata, dove Eni “detiene e gestisce il giacimento petrolifero più grande dell’Europa Occidentale”, annota nella ricerca Luca Delli Veneri. Di WE è stato direttore anche Mario Sechi, poi guida dell’Agi, l’Agenzia giornalistica Italia dell’Eni, un breve passaggio a Palazzo Chigi come portavoce dell’attuale presidente del Consiglio, quindi approdato al vertice di Libero. 

Riviste spesse, di analisi, ricerca, racconto giornalistico dei fatti energetici e delle loro implicazioni certamente dal punto di vista degli stakeholder, i portatori d’interesse, ma anche dal punto di vista di firme d’opinione del giornalismo internazionale come Moisés Naìm, già ministro del Commercio e dell’Industria del Venezuela a fine anni Ottanta.

parla renzo piano

Nell’analizzato n. 3/2007 di Switch, “house organ” di Edison, figura un’intervista di Francesco Specchia, di Libero, al grande architetto Renzo Piano, che esula dai temi dell’energia e del clima, a dimostrazione della continua ricerca di una “ibridazione tematica”, perché Renzo Piano “risponde a domande relative alla sua vita e ai suoi progetti futuri”, “in un ‘ping pong’ tra curiosità e informazione che ha lo scopo di non ‘appesantire’ il discorso e rendere più gradevole la lettura”, osserva sempre Delli Veneri. 

In ogni caso, in “Passaggio a Nordest”, testatina d’una sezione della rivista, obiettivo di Switch è “illustrare l’iniziativa che Edison ha in programma nelle acque venete: ovvero l’inserimento di un rigassificatore”, anche se nelle pagine precedenti i territori di Venezia, Padova e Verona “vengono inquadrati da un punto di vista culturale e architettonico, paesaggistico e ambientale”. Pur tuttavia, osserva il titolare della tesi universitaria, “le bellezze artistiche di queste città vengono coniugate con la loro spiccata vocazione a fare impresa”. Invitato a stendere l’articolo è proprio un “giornalista, vicedirettore di Libero, Giuliano Zulin, già portavoce del presidente della Regione Veneto”, si fa osservare. A suo modo, anche lui uno stakeholder.

acque minacciate

E se Lavazza, azienda del caffè con 130 anni di storia alle spalle, “ha adottato una nuova strategia per raccontare la sua identità” tramite il brand magazine The Blender, “offrendo una panoramica sul mondo della caffetteria”, Ocean Words, web e istamagazine lanciato il 7 settembre 2020 dall’azienda Rio Mare, marchio di conserve alimentari ittiche, “ha lo scopo di informare i lettori su storie di mari e oceani e sensibilizzarli esortandoli all’azione sulle minacce che affliggono le acque del Pianeta”, osserva nella sua tesi Maria Chiara Spennacchio. Un web magazine che si propone come “la voce del mare e di chi vive il mare”, il cui progetto “è gestito da una brand newsroom strutturata come una vera redazione giornalistica” per uno strumento di comunicazione descritto “come un mezzo che fonde il giornalismo con l’attivismo e coglie le necessità più profonde degli attuali consumatori”. 

I quali, grazie alle piattaforme social, “sono diventati più informati e, contemporaneamente, hanno elevato le loro aspettative quando si relazionano con organizzazioni imprese, considerando la loro ‘responsabilità sociale’”. L’obiettivo del brand attraverso il web magazine? “Farsi scegliere, infinitamente più profittevole che farsi acquistare”, sottolinea.

tonno extraparlamentare 

Per la cronaca, il brand del Tonno Rio Mare nel 1978 è stato al centro di una forte polemica proprio da parte dei lettori della testata il manifesto, quotidiano nato nel 1971, per rigorosa scelta senza pubblicità per evitarne i possibili condizionamenti, che invece – dopo sette anni – decide d’aprire le proprie pagine alle inserzioni per integrare non sufficienti entrate economiche e finanziarie, accanto alle voci “vendite” e “sottoscrizioni” volontarie dei lettori. E lo fa pubblicando proprio la réclame del Tonno Rio Mare. L’iniziativa fa scandalo nel lettorato, che la taccia di “tradire” i principi fondativi. E per smorzare gli attriti tra lettori e testata, lo scrittore satirico Stefano Benni scrive un memorabile ironico articolo in cui, per far digerire la pubblicità ai lettori del “quotidiano comunista”, definisce Rio Mare “il tonno extraparlamentare”. 

I casi di studio proseguono con l’esplorazione dell’”Universo Lines” che ha intrapreso “una strategia comunicativa d’eccellenza con il suo target”, creando nel 2017 “una propria community distinguibile dai competitor”, mettendosi con il suo sito web Lines.it “all’ascolto delle donne per portare ancor di più luce al loro mondo e alle loro esigenze”, sottolinea l’autrice della tesi di laurea, Elena Mirenna. Interessante il “caso Patagonia”, brand del tessile il cui intero valore “ora è destinato alla lotta contro la crisi ambientale”, al punto che “il nostro unico azionista è il pianeta”, dichiara la testata. 

eco e quasimodo

Uno degli ultimi capitoli è dedicato alla mobilità su gomma, col caso di Pirelli, Rivista di informazione tecnica, 68 pagine coniate nel 1948, distribuite regolarmente in edicola al costo di 300 lire, che s’avvale da subito di collaboratori di prestigio come Dino Buzzati, Italo Calvino, Umberto Eco, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, Elio Vittorini e altri, con illustrazioni realizzate da personalità come Renato Guttuso, secondo la volontà dell’azienda “di unire la cultura umanistica con quella scientifica, oltre a mostrare una moderna concezione del ruolo delle imprese nella società”. 

Come annota la tesista Mariapia Pizzella, “l’azienda non si limita a perseguire il profitto, ma si assume anche una responsabilità sociale e culturale, contribuendo alla vita quotidiana degli individui attraverso la diffusione di informazioni, conoscenze e valori con cui possono identificarsi”. In ultima analisi, “Pirelli desidera esercitare un potere di influenza sulla società gestendo direttamente il dibattito attraverso canali di distribuzione come le edicole”, scegliendo le tematiche in cui l’azienda eccelle “insieme alla collaborazione di giornalisti di spicco”, nel tentativo “di mixare cultura alta e popolare, intendendo per cultura popolare in questo caso la cultura industriale”.

malattie neurovegetative

E poi c’è tutto il comparto automobilistico, l’inserzionista pubblicitario che va da sempre per la maggiore su tutti i principali media, con i casi di Ford Times, Christophorus Magazine, storytelling in chiave Porsche, The Aston Martin Magazine e il “caso editoriale” Bmw Italia che, nel 2015, attraverso il magazine d’impresa Specialmente decide di trovare un mezzo “per raccontare il suo impegno decennale nei confronti di temi quali il dialogo interculturale, la disabilità, la medicina, lo sport e l’arte, progetto che culmina nel 2014 con la collaborazione con l’Ospedale San Raffaele di Milano e la Dynamo Camp “per aiutare alcuni giovani affetti da malattie neurovegetative e vivere un’esperienza inclusiva e di svago nella sede dell’associazione”, come spiega Marco Procopio. 

Una rivista aziendale di qualità e successo, per fare un esempio non contemplato però nell’analisi del volumetto All Around, lo è stata anche Colours dei Benetton, ideata e curata dal grande fotografo Oliviero Toscani. Oppure Vivaverdi, rivista della Siae, fortemente voluta nel 2003 dal suo consigliere di riferimento dell’epoca, lo scrittore e autore tv Diego Cugia, al fine di svecchiare la comunicazione della Società degli Autori e degli Editori e rinnovare il vetusto Bollettino che arrivava per posta nelle case dei soci, distribuito in oltre 80 mila copie, con il quale il trimestrale ha ingaggiato significative battaglie per la tutela del copyright e contro la pirateria discografica e online.

convivenza e fusione

Certo, le riviste aziendali o “house organ” non sono subdoli e volgari “persuasori occulti”, come spesso vengono visti e valutati, e, quindi, il loro brand journalism “dimostra una strategia vincente”, sottolinea il tesista Delli Veneri, “da parte delle aziende, capace soprattutto di ‘avvicinare’ l’ascoltatore all’azienda attraverso la condivisione dei principi e dei valori di quest’ultima”. Sono facilitatori di relazioni, dove giornalismo e impresa si fondono, convivono.

Creare consapevolezza, aumentare il valore del brand resta pertanto l’obiettivo delle riviste in oggetto, che poi è voler “avvicinare persone ‘lontane’ da quel determinato brand”. Per il tesista, si tratta di pratiche “dalle quali un’azienda al giorno d’oggi non può prescindere”. La dizione inglese nobilita il genere, ma pur sempre di giornalismo pubblicitario trattasi. L’importante è che tutto sia chiaro, dichiarato, trasparente, senza sotterfugi. Ma quante sono le riviste, i supplementi, le pubblicazioni e gli “house organ” mascherati, che fungono da densi contenitori di pubblicità e che viaggiano in via subliminale, veicolati dai nostri quotidiani senza essere dichiarati tali? 

Ricerca, tesi di laurea e monitoraggio attento proseguono.

(nella foto, WE, la rivista dell’Eni)

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