di DANIELE CURCI

Se la regione africana del Sahel è a rischio di diventare una zona priva di copertura informativa, anche il resto del continente africano non gode di ottima salute, dal un punto di vista del giornalismo. Con il coordinamento di Reporter Senza Frontiere (RSF) lo hanno sottolineato diversi media africani e non – tra cui anche Le Monde, France 24 e Jeune Afrique – il 3 maggio, in occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa, quando hanno pubblicato una lettera aperta indirizzata alle autorità del Burkina Faso e del Mali, rivolta anche all’intera comunità internazionale. 

In Burkina Faso e Mali i giornalisti, anche stranieri, vengono minacciati e subiscono pressioni da parte delle milizie – jihadiste e non – così come da parte dei governi di transizione al potere. I governi di Burkina Faso e Mali hanno recentemente adottato delle misure che, secondo la lettera, starebbero mettendo in discussione il diritto all’informazione. La lettera, citando il quotidiano del Burkina Faso Observateur Paalga, afferma che “l’instaurazione di un regime di terrore è accompagnato da un’ondata di fake news che inonda i social network”. Le false notizie e le pressioni verso i giornalisti riguardano anche gli attacchi che questi subiscono sui social, comprese minacce di morte, da parte degli influencer locali favorevoli ai regimi militari di Mali e Burkina Faso. 

strumento di propaganda

Allargando lo sguardo, la disinformazione è crescente in gran parte dell’Africa subsahariana anche grazie alle infiltrazioni russe e alla diffusione di media vicini al Cremlino come Russia Today e Sputnik. In paesi come il Mali o come il Sudan, tormentati da conflitti e da lotte di potere tra fazioni militari e dal jihadismo, l’informazione viene usata come strumento di propaganda. Questo accade anche grazie al sostegno della Russia e del gruppo Wagner, che da anni ha tra le sue punte di diamante un ufficio che si occupa di guerra informatica e di diffusione di fake news.

La guerra nella regione etiope del Tigrai ha portato ad un’ondata di arresti dei giornalisti, alla sospensione arbitraria di alcune testate, all’espulsione di un giornalista del New York Times e ha incoraggiato un’intensa attività di propaganda da parte delle autorità federali. Nella regione del Nord Kivu, parte della Repubblica Democratica del Congo e dove si combatte una guerra tra il Movimento 23 marzo (M23) e l’esercito congolese, molti giornalisti hanno subito pressioni e ingiunzioni da parte di entrambi i belligeranti. In Burundi la giornalista Floriane Irangabiye è stata condannata a dieci anni di carcere “per avere minato l’integrità del territorio nazionale” a seguito di un suo commento critico nei confronti dell’élite politica locale.

incidente d’auto

Tra la fine di settembre 2022 e il gennaio 2023, in Camerun, Kenya, Somalia e Ruanda sono stati uccisi cinque giornalisti mentre stavano svolgendo la loro professione. Anche quando le indagini vengono aperte, non sempre gli inquirenti riescono a risalire ai responsabili, come dimostrano i casi del giornalista camerunese Martinez Zogo, trovato ucciso il 22 gennaio (lavorava alla radio Amplitude Fm ed era noto per le sue denunce sulla corruzione), e del ruandese John Williams Ntwali, fondatore del canale YouTube Pax TV – Ireme News ed editore del giornale The Chronicles in cui denunciava le violazioni dei diritti umani. Ntwali sarebbe morto, secondo la versione ufficiale, in un incidente d’auto il 18 gennaio, ma molte associazioni per la tutela dei diritti umani chiedono l’apertura di un’indagine indipendente. 

trentuno posizioni

In Senegal, considerato in passato un modello di stabilità rispetto ad altri paesi della regione, sono in corso proteste, che hanno portato alla morte di alcuni manifestanti, per la condanna per corruzione di minori del leader dell’opposizione Ousmane Sonko e per il sospetto che l’attuale presidente Macky Sall voglia forzare la costituzione candidandosi ad un terzo mandato. Già nel 2021 in Senegal si erano verificate delle proteste, con un bilancio di tredici morti, in seguito all’arresto di Sonko per stupro – l’accusa è poi diventata corruzione di minore. In questo contesto i giornalisti Pape Alé Niang, direttore di Dakar Matin, accusato di avere minato la sicurezza del paese e Pape Ndiaye, del canale televisivo Walf Tv, accusato di incitamento della folla e di diffusione di false notizie per aver pubblicato degli articoli su Sonko, sono stati processati. Il Senegal è sceso di trentuno posizioni nella classifica sulla libertà del giornalismo redatta da RSF. 

(nella foto, Floriane Irangabiye)

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