di DANIELE CURCI

Il Sahel è a rischio di diventare una «no-news zone», una zona priva di copertura informativa, secondo un recente report di Reporter Senza Frontiere (RSF). Negli ultimi dieci anni in Sahel sono stati uccisi cinque giornalisti, due sono stati recentemente rapiti. A marzo, invece, è stato liberato il giornalista francese Olivier Dubois, prigioniero in Mali da 711 giorni del Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani, affiliato ad al-Qaeda.

Il Sahel è un’area geografica subsahariana molto vasta, si estende dall’Oceano Atlantico al Mar Rosso includendo diversi stati come Senegal, Mali, Burkina Faso, Niger, Algeria, Sudan, solamente per citarne alcuni. Essendo una “cerniera” tra Africa del Nord e subsahariana, il Sahel è una regione considerata centrale per la stabilizzazione del continente africano. Solo per fare un esempio, sin dalla pubblicazione del Libro bianco della Difesa la regione ha visto una centralità sempre maggiore nelle attenzioni del governo italiano, anche in relazione al concetto di “Mediterraneo allargato”, che vede l’area saheliana e il Mediterraneo come un’unica area di crisi. 

terreno di scontro

Il Sahel è da tempo divenuto terreno di scontro tra Russia, da un lato, e Francia dall’altro – là dove assieme a Parigi stanno anche l’Europa e in parte gli Stati Uniti. Lo scontro si muove su più livelli. Diplomatico, innanzitutto, con numerose visite in questi mesi di diversi esponenti di spicco dei governi francesi, russi, cinesi e statunitense – si è chiusa il 2 aprile una visita della Vicepresidente statunitense Kamala Harris. La battaglia per l’influenza in Sahel – in cui i paesi africani giocano un ruolo autonomo e di rilievo rispetto ai desideri dei vari contendenti – si combatte anche sugli aiuti economici e militari. La Russia ha un ruolo di primo piano grazie alla presenza del gruppo Wagner in Libia, Repubblica Centrafricana, Guinea, Sudan, Congo, Ruanda, Angola, Botswana, Zimbabwe, Mozambico Madagascar e Mali. A marzo 2022 i mercenari del Wagner hanno ucciso oltre 300 civili, assieme alle forze armate maliane, nella città di Moura perché sospettati di avere contatti con un gruppo jihadista. La presenza russa desta tali preoccupazioni a Washington che a maggio del 2022 il Congresso ha approvato il Countering Malign Russian Activities in Africa Act, un piano per contrastare l’ascesa russa nel continente. 

trasmissioni sospese

L’ascesa di Wagner e della Russia, riconosce anche il report di RSF, rappresenta un rischio concreto e una serie di limitazioni all’attività giornalistica. Nel report, infatti, RSF riconosce che nella regione è in atto una guerra di disinformazione e propaganda che sarebbe arrivata ad un livello tale da inficiare il lavoro dei giornalisti. Del resto, anche l’importante rivista francese sull’Africa, Jeune Afrique, aveva dedicato uno speciale sul tema della “guerra invisibile” a settembre 2022. Nello speciale, la rivista si era concentrata sulla battaglia a colpi di fake news combattuta tra Parigi e Mosca, suggerendo che fosse la seconda in vantaggio rispetto alla prima, ancora poco preparata a fronteggiare questo tipo di minaccia. La crescente disinformazione rende il contesto saheliano ancora più instabile. Tra il 2021 e il 2023, ad esempio, Parigi – e alcune missioni militari che coinvolgevano diversi paesi europei come l’Italia – è stata messa alla porta dal governo del Mali e del Burkina Faso, entrati nell’orbita di influenza russa. Il Burkina Faso ha, inoltre, recentemente sospeso le trasmissioni dell’emittente televisiva France24 e impedito l’accesso ai giornalisti di Le Monde e Libération. Una conferma di quanto sostiene anche il report di RSF, cioè che molti paesi saheliani stanno emanando leggi per restringere la libertà dei giornalisti, mentre cercano di obbligare i media a seguire le “informazioni” conformi alla linea del regime. È il caso, ad esempio, del Benin che con la Digital Law del 2018 ha facilitato le detenzioni arbitrarie dei giornalisti, come nel caso di Ignace Sossou di Bénin Web Tv, arrestato nel 2020. Molti governi, inoltre, starebbero ostacolando la libertà di movimento dei giornalisti con procedure amministrative, ad esempio non concedendo gli accrediti necessari per spostarsi all’interno di un paese o di determinate istituzioni. 

“settima provincia”

Tra i diversi pericoli che i giornalisti possono incontrare in Sahel, il report di RSF include un’alta probabilità di essere uccisi o rapiti. L’alta instabilità della regione ha infatti favorito la presenza di gruppi armati e, soprattutto, di gruppi terroristi. L’influenza di questi gruppi nella regione è tale che il Sahel è stato proclamato la “settima provincia dello Stato islamico in Africa”. Nel 2022, inoltre, lo Stato islamico ha condotto metà dei suoi attacchi in Africa, rivendicando per la prima volta la maggioranza delle sue operazioni non più in Medio Oriente, ma nel continente africano che è considerato la nuova frontiera del jihadismo globale. Le violenze ad opera di gruppi fondamentalisti hanno raggiunto un nuovo record nell’ultimo anno, con un incremento del 22%, mentre il numero delle vittime è salito del 48% secondo l’Africa Center, che sottolinea anche come il 40% delle attività dei militanti islamici si svolgano proprio nel Sahel. 

Vi sono dei segnali di resistenza da parte dei giornalisti saheliani. Diversi di loro stanno infatti creando dei network, anche su base regionale e nelle differenti lingue locali, per proteggersi e continuare a fornire un’informazione libera ed indipendente. Molti di loro, inoltre, dedicano molte energie al fact checking attraverso progetti come “Mali Check” o “Désinfox Tchad” che passano al vaglio le affermazioni dei politici e degli ufficiali di governo. 

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