di SOFIA GADICI

I giornalisti non devono fare con l’intelligenza artificiale gli stessi errori commessi con Internet: paura, sottovalutazione, rifiuto. ChatGPT e compagni ci sono e resteranno: la cosa migliore è imparare a conoscerli e usarli. Elimineranno molti posti di lavoro? Probabilmente sì, ma non quelli di maggiore qualità, quindi i giornalisti devono impegnarsi in questa direzione.
Sono le sfide lanciate al giornalismo dalle nuove forme di intelligenza artificiale generativa, al centro del corso-dibattito “Robot Giornalista”, organizzato da Professione Reporter, che si è svolto a Roma il 13 aprile.

Interrogativi in redazione

Sul palco del teatro dell’eCampus si sono alternati giornalisti, esperti di tecnologia e diritto, rappresentanti dell’Ordine dei giornalisti e del sindacato. Hanno analizzato i principali interrogativi che circolano nelle redazioni e sono legati al futuro del giornalismo.
Il dibattito, animato da Andrea Garibaldi, è partito dalle considerazioni del promotore dell’incontro, Vittorio Roidi, che ha parlato di mancanza di un dibattito adeguato sul futuro della professione, di livello dell’informazione, di ricerca della verità. Guido D’Ubaldo, Presidente dell’Ordine dei giornalisti del Lazio, ha riconosciuto il rischio di perdite di posti di lavoro, data l’opportunità di riduzione dei costi con l’intelligenza artificiale. Per d’Ubaldo, come per altri relatori, lo strumento per evitare “che le redazioni si svuotino” è puntare sempre più sulla fascia alta del lavoro dei giornalisti. Fare perno su tutte quelle capacità umane e professionali che la tecnologia non potrà essere in grado di replicare.

contrastare il progresso

Alessandra Costante, segretaria nazionale della Fnsi, ha presentato alcuni esempi di utilizzo dell’intelligenza artificiale nelle redazioni italiane e ha descritto come l’uso sperimentale e senza un adeguato coinvolgimento dei giornalisti, stia provocando smarrimento e richieste di intervento. Costante ha sottolineato che l’intelligenza artificiale può rappresentare per il giornalismo “una favolosa scommessa verso il futuro, oppure una pericolosa discesa verso il buio”. Spetta ai giornalisti stessi, e a chi può dettare le regole dell’utilizzo di questa tecnologia, “decidere come governarla, senza paura e senza timori”. In questa fase di adattamento, per Costante è “importante non fare errori”, come invece è accaduto in passato, con l’avvento della Rete, quando professionisti ed editori non hanno colto la chance e hanno cercato di contrastare il progresso.
L’impossibilità di impedire lo sviluppo della tecnologia è stato un tema centrale in tutto il dibattito, così come la necessità di elaborare un giusto metodo di collaborazione tra uomo e tecnologia. Sotto il profilo dei diritti sindacali e della regolamentazione del lavoro giornalistico, Costante ha ricordato che il Contratto nazionale di lavoro è ancora in grado di fornire importanti tutele, ma queste vengono meno per i lavoratori precari, che non sono inquadrati nel contratto stesso. Sono perciò necessarie nuove norme, a fronte di leggi sulla stampa nel loro complesso “fuori dal tempo”: per il futuro del giornalismo è urgente l’intervento della politica, di norme nuove in grado di “farci guardare al futuro”.

formazione dei giovani

Un futuro che Claudio Cerasa, direttore de Il Foglio, ha già sperimentato nel suo giornale pubblicando alcuni articoli prodotti dall’intelligenza artificiale. E lanciando ai lettori la sfida a riconoscerli. I lettori hanno scoperto talvolta gli articoli scritti da Chat Gpt, ma hanno anche confuso articoli di redattori per testi prodotti dal computer. Questo ha portato Cerasa a una considerazione: “L’intelligenza artificiale non è concorrenziale quando c’è un articolo frutto di notizie esclusive, di creatività e di idee originali. Quando questi elementi non ci sono e si scrive un articolo unendo più agenzie, allora l’intelligenza artificiale è competitiva. Sfida la nostra professione”.
Una sfida, quindi, ma anche un possibile e formidabile strumento a supporto della professione, ha rilanciato Giampiero Gramaglia (direttore della Scuola di Giornalismo di Urbino): “L’intelligenza artificiale non è in grado di cercare, trovare e approfondire una notizia, come invece può e deve continuare a fare il giornalista. La tecnologia deve essere usata per aiutare il lavoro di elaborazione dei testi. Per questo, fin dalle scuole di giornalismo, è necessario puntare sulla formazione dei giovani, senza porre ‘paletti allo sviluppo della tecnologia’. Formare quindi nuove figure professionali in grado di utilizzare nel migliore dei modi tutta la gamma della tecnologia disponibile”.

chef stellati

È dello stesso avviso Riccardo Luna, direttore di Italian Tech, portale del gruppo editoriale Gedi dedicato alla tecnologia, che ha ripercorso alcune tappe della storia dello sviluppo dell’informazione e ha ricordato come la tecnologia abbia sempre rappresentato un fondamentale strumento a disposizione del giornalismo e del suo progresso. Può esserlo anche l’intelligenza artificiale, ma solo se si comprenderà che con questi nuovi strumenti il giornalismo è costretto a fare un salto di qualità. Perché “se tutti possono cucinare, solo pochi sono chef stellati”.
In quest’ottica, Stefano Feltri, ex direttore del quotidiano Domani, ha aggiunto che con l’intelligenza artificiale cambieranno in primo luogo i modelli di business dell’informazione, un settore che vive da tempo una profonda crisi e non riesce a trovare sostenibilità economica. L’AI risolverà molti problemi rispondendo alle esigenze di scarsità di tempo e di risorse, cioè velocizzerà il lavoro con costi praticamente nulli. Ma allo stesso tempo renderà obsoleto l’attuale sistema basato sul traffico verso i siti web – e i ricavi pubblicitari da esso dipendenti – che avevano portato il giornalismo a creare contenuti scadenti, piegati alla logica dei tag e del SEO. L’intelligenza artificiale “azzera il campo da gioco”, quindi, e il giornalista sarà presto costretto a tornare a dare il suo valore aggiunto, con il suo lavoro frutto di approfondimento e creatività.

tempi brevi, costi minori

Marco Pratellesi, vicedirettore del settimanale Oggi, ha espresso una posizione di maggiore preoccupazione. Considerando alcuni esempi di utilizzo dell’intelligenza artificiale in realtà giornalistiche internazionali, finalizzate ad allargare il mercato, fornire maggiori servizi, in tempi più brevi e a costi minori, e considerate le potenzialità dei nuovi strumenti, il giornalismo italiano appare in grave ritardo. Soprattutto per quanto riguarda la formazione e l’approccio verso la gestione della nuova tecnologia. Un approccio che, avverte Pratellesi, è improntato alla delega verso altri e non all’assunzione di un ruolo proprio da parte dei professionisti dell’informazione. Il pericolo è ripetere ciecamente gli errori compiuti con l’avvento di Internet, e per Pratellesi si sta già compiendo. Occasioni di incontro e discussione sono però il primo passo per “imparare a imparare” e lavorare per elaborare le giuste strategie di azione.
Hanno fornito il loro importante contribuito al dibattito Fabio Ciotti, docente di Digital Humanities all’Università di Tor Vergata, che ha spiegato il funzionamento dei sitemi di intelligenza generativa, la loro evoluzione e le loro potenzialità ed Ernesto Belisario, avvocato esperto in diritto delle tecnologie, che ha sottolineato alcuni aspetti relativi alla necessità di trasparenza e regolamentazione nell’uso della tecnologia, ribadendo un concetto emerso in molti degli altri interventi ascoltati durante il dibattito: l’intelligenza artificiale rappresenterà molto presto una “rivoluzione” e “sta a noi decidere se subirla o governarla”.

(nella foto, Stefano Feltri, Andrea Garibaldi, Alessandra Costante, Vittorio Roidi)

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