di ARMANDO ORLANDO
A proposito della vertenza sindacale che sta interessando Radio Radicale, vorrei esprimere alcune considerazioni. Ho seguito il processo Parmalat e sue derivazioni (mi verrebbe da dire derivati) dalla prima udienza. Radio Radicale c’era e ha continuato ad esserci fino alla fine, registrando ogni singola udienza, con la stessa caparbietà e artigianalità usata per mettere in onda le sedute parlamentari agli esordi.
Vedere per credere. Ogni registrazione è in rete: accessibile, scaricabile e consultabile gratuitamente. Un servizio impareggiabile al quale va reso merito. Anche perché spalmato su tutto il territorio italiano per chissà quanti altri processi o eventi di grande interesse documentale, oltre che giornalistico.
valore infinito
Quanto vale tutto questo? Infinitamente, ma lo capiremo poi.
Ancora. Ricordo di quando Radio Radicale decise di aprire la propria diretta ai messaggi degli ascoltatori. Giorni interi in cui le registrazioni della segreteria telefonica vomitarono nell’etere i peggiori insulti, le riflessioni più candide, i pensieri più osceni, i deliri di un Paese di disagiati in attesa dell’avvento dei social (per venire a galla definitivamente).
Una sintesi, molto edulcorata, di quei messaggi alla nazione fu pubblicata da Stampa Alternativa in uno di quei libricini spillati in vendita a mille lire. “Sono Asdrubale chiamo dall’Isola di Pasqua”, s’intitolava. Era il 1994. Radio Radicale spalancò una finestra sul futuro prossimo dell’umanità che, di lì a due anni, avrebbe cominciato a navigare in massa a 56k (Telecom permettendo). A Radio Radicale dobbiamo l’assaggio di una primizia. Mi riferisco alla violenza repressa, all’irragionevolezza, agli stadi di devastazione privata e al deliquio più intimo degli italiani, che oggi è divenuto ordinariamente pubblico.
magma d’insoddisfazione
Allora si parlò di un’operazione di cattivo gusto e lo sguardo sul magma d’insoddisfazione che ribolliva sotto l’anonimato della quotidianità colpì pochi, innescò poche riflessioni di qualità.
Periodicamente stiamo lì a fare i conti in tasca a una radio che fa davvero servizio pubblico (una verità assurta purtroppo a luogo comune, con la relativa perdita di valore) e a dibattere su una questione di finanziamento che neppure sarebbe da porre, se a decidere fossero (per esempio) gli archivisti del futuro.
Da noi i temi del dibattito sono imposti con l’etica dei pendagli da forca, per cui bisogna stare a ragionare sull’ovvio. Buona fortuna.





È così. Commento inappuntabile su radio radicale. L’articolo è di buon senso. Specie per il risvolto socio-antropologico sulla nostra realtà e sulle opinioni che ne derivano, come case study, oggetto di analisi per storici del futuro. Naturalmente è auspicabile che r. Radicale faccia crescere i propri sistemi di “protezione”, interni. Alludo alla presenza di vocabolari e concetti che si discostano dalla funzione sociale cui si riferisce l’articolista. Continuare a chiamare, da più di un anno a questa parte, la west bank, galilea e samaria, è come se la ns Premier chiamasse l’italia con toponomi dell’Impero Romano. Cio’ nonostante le cronache quotidiane del notiziario del mattino da parte di f. Nirestein, che negano distorcendo la realtà violenta ad opera dei coloni e dell’idf, in cisgiordania, sono funzionali alla comprensione del degrado intellettuale e morale del mestiere di giornalista.diventato “Cantor dell’opinion dominante” oggi, ancor più partigiano e sleale con il pubblico, che ignora la politica o i panni da colona con cui si traveste, per esempio, la nirestein-giornalista. Roba da essere ammonizione. Non da r. Radicale, ma dall’Ordine dei giornalisti, a cui è stata mandata una lettera di riprovazione da giornalisti che non vogliono continui a declassarsi il mestiere, la ricerca, la professionalità di un servizio informativo corretto ( con toponomastica vera, non quella che si vorrebbe) e, soprattutto “scientifico”, fattuale, al di sopra di giudizi di valore.