di RICCARDO DE BENEDETTI

Tre sigle sindacali, Cgil, Cisl e Uil e due datoriali (Federazione Italiana Editori giornali e Associazione Stampatori giornali) si incontrano il 2 dicembre del 2024 e sottoscrivono un accordo che decreta la cessazione dei trattamenti pensionistici del “Fondo Nazionale di Previdenza per i lavoratori dei giornali quotidiani Fiorenzo Casella” e il passaggio dei pochi lavoratori attivi rimasti nel settore ad altro fondo complementare.

Il Casella, istituito nel 1958 e reso obbligatorio con decreto presidenziale del 1962, era considerato il fondo delle vedove. Chi lavorava allora nelle tipografie con le linotype a caldo respirava malsani vapori di piombo. Per non dire del lavoro nelle rotative. Veri infernetti di sudore, rumore e inchiostro. Aspettative di vita non eccezionali. La pensione integrativa era necessaria per i sopravvissuti, a giusto compenso per una vita di sacrifici e alle vedove per garantire il godimento di una piena reversibilità. Acqua passata, si dirà. 

manodopera in calo

In effetti tutto cambia con l’introduzione nei primissimi anni ’80 della fotocomposizione. Al miglioramento delle condizioni di lavoro si accompagna però la drastica diminuzione della manodopera. Compaiono gli ammortizzatori sociali e la legge 416 che permette agli editori dei quotidiani di attingere a ingenti fondi statali per innovare l’apparato produttivo e prepensionare i cosiddetti “esuberi”. Il fondo Casella diventa il volano privilegiato per allettare i lavoratori all’uscita anticipata; per firmare accordi di ristrutturazione che svuotano le tipografie e assottigliano la base contributiva del Casella.

Si crea la famosa piramide rovesciata. Che però poteva avere effetti meno devastanti se si fosse gestito il fondo e le sue risorse meglio e con la famosa, e più volte citata nel Codice civile, diligenza “del buon padre di famiglia”. Nel caso del Casella padri sì, forse, ma diligenti proprio no. Al contrario, dilapidatori di risorse, mai all’altezza delle trasformazioni finanziarie. La “governance” del fondo pensionistico, divisa al 50% tra editori e sindacati, registra nei decenni cattiva gestione e svendita del patrimonio immobiliare del fondo, fino al suo azzeramento. 

ministero e parlamento

La comparsa e la pressione verso i nuovi fondi complementari – volontari e non obbligatori – vede la migrazione di tanti sindacalisti verso i consigli di amministrazione di questi ultimi e il progressivo disinteresse alla gestione corretta dell’esistente. Fino all’accordo del 2 dicembre 2024.

Quella data sancisce, credo per la prima volta, l’abbandono da parte del sindacato di uno dei pilastri che motivano la sua esistenza: la previdenza sociale. Introdotta da Bismarck nel lontano 1884 era il distillato del socialismo lassaliano, aspetto irrinunciabile e definitorio dello Stato sociale e “si parva licet” del movimento operaio. 

Oggi l’autoliquidazione del fondo Casella è all’ordine del giorno di una discussione che coinvolge la Covip (l’ente di controllo e vigilanza delle pensioni complementari che ha l’ultima parola sulla decisione, anche se in realtà il Casella non è mai stato un fondo complementare bensì integrativo e, soprattutto, obbligatorio, la cui adesione è sempre stata sottratto alla libera disponibilità del lavoratore); e coinvolge la “Commissione parlamentare di controllo sull’attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale”, presieduta da Alberto Bagnai; e il ministero del Lavoro, nella figura del sottosegretario Claudio Durigon. 

Byblos in scena

Dopo l’audizione del 13 marzo alla commissione Bagnai nella quale Covip ha sostanzialmente respinto l’accordo, sindacati ed editori, non si daranno per vinti. Per ora hanno cambiato la “governance” del fondo Byblos, dove vorrebbero far confluire “volontariamente” i pochi lavoratori rimasti nel settore. Tra parentesi: il fondo Byblos si appoggia a banca Bff, partecipata da JP Morgan e Banque Lazard, per altro uno dei soggetti che gestisce i soldi che confluiscono al fondo per essere investiti.

Ma soprattutto vorranno gestire tra loro quello che essi stessi hanno procurato! Vale a dire l’autoliquidazione del Fondo Casella. E infatti, i sindacati, nel caso la Cgil, con un disprezzo della logica che pone seri dubbi sull’intelligenza di chi l’ha scritto, afferma nel verbale di assemblea del settore che “l’Assemblea Generale Slc-Cgil prende atto dell’insostenibilità finanziaria del Fondo Casella, certificata dal provvedimento Covip del 18 novembre 2020, e ritiene che l’accordo sottoscritto il 2 dicembre 2024 garantisca un trattamento migliorativo per gli iscritti e i pensionati”! La pagina precedente elencava in che consiste il miglioramento: “Con la liquidazione cesseranno le adesioni e gli obblighi contributivi. Cesserà l’erogazione dei trattamenti pensionistici”. Questo è il trattamento migliorativo che il sindacato riserva a circa 14mila pensionati e ai pochi che ormai lavorano nel settore! 

articolo della Costituzione

Si dovrebbe ricordare che esiste un articolo della Costituzione ancora vigente, il 38, che recita: “i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”. E una riga sotto, il comma 4: “Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato”. “Integrati dallo Stato”! Infatti nel 1962 l’allora presidente Gronchi aveva integrato (da qui “pensione integrativa”) il Casella nel Contratto nazionale di lavoro, rendendolo Legge, a cui nessuno dei lavoratori assunti poteva sottrarsi.

Da quel 2 dicembre del 2024 si è costituito il Coordinamento dei lavoratori iscritti al fondo Casella che chiede a gran voce, dopo aver fatto pressioni nei confronti di tutto il Parlamento, di dire la sua su una vicenda che non può essere contrattata e decisa da coloro che hanno provocato il disastro che ho sommariamente raccontato.

10 Commenti

  1. Che mi stanno rubando 35 anni di pensione integrativa.. so entrato a lavorare in un giornale che avevo 18 anni so uscito che ne avevo 52 lavorando sempre di notte sacrificando la vita mía che della mía famiglia …vergogna

  2. Un disastro del genere non può non essere stato visto dai vari ministri del lavoro che si sono succeduti, visto che l’adesione all’ente previdenziale era obbligatoria! Il sindacato si è mosso in direzione ostinata e contraria all’interesse dei lavoratori e continua ad auto condannarsi, ad auto liquidarsi prima del fondo Che ha gestito così male! Ma questo Ministero del Lavoro non può rimanere silenzioso davanti alla follia degli amministratori di non avere mutato questo fondo previdenziale “a capitalizzazione” , cosa che è stata fatta nei primi anni 2000 da tutti i fondi complementari volontari proprio su indicazione degli enti di vigilanza preposti.

  3. Hanno o non hanno un nome i responsabili di questo SCEMPIO? Se sì, cosa si aspetta a scoperchiarne la pentola? Queste “azioni” si possono definire FURTO ai danni dei lavoratori/pensionati? Ed allora? Che aspettiamo ancora? Quali e quanti incontri sono previsti per… “allungare il brodo”? VERGOGNA!!!

  4. Se passa il concetto che un fondo pensione integrativo può fallire come possono chiedere a chi inizia a lavorare di aderire ai fondi pensione.
    “Crisi del settore”, la giustificazione.
    In una vita lavorativa quanti settori andranno in crisi?

  5. Io ho una doppia preoccupazione perché oltre alla previdenza io ho dirottato anche il TFR verso il Casella.
    Dal Fondo continuano a dire che il comparto TFR non è intaccato dalla “crisi” ma la domanda nasce spontanea se nessuno verserà più nulla al Fondo come potrà mantenersi? (Stipendi, affitti, utenze ecc)

  6. Sono sempre più convinta che il sindacato farebbe meglio a cessare come attività …
    non ha più senso , anzi è diventato NOCIVO !!!!

  7. Perché il Sinagi fu a suo tempo preso dall’INPS e noi poligrafici dobbiamo essere trattati come lavoratori di serie B. Dove sta il sindacato?

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