A proposito di “Cronisti, scavate nei ministeri, negli ospedali, nello sport. Per salvare i giornali”. I giornali sono alle prese con una crisi acuta, mitigata solo in parte dallo sviluppo del digitale. Non è, comunque la si guardi, una disgrazia piovuta dal cielo. Il declino ha cause molto terrene, come ci dimostra Professione Reporter, ospitando interventi di colleghi che, con lucidità e onestà intellettuale, descrivono il vero stato dell’informazione. La crisi della carta stampata chiama in causa i giornalisti per alcune verità che stentavano a venire a galla perché coperte dal fragore della cronaca, tra cui la mancanza del coraggio di scavare, di perlustrare territori oggi abbandonati ma che custodiscono molti fatti e notizie interessanti, meritevoli di andare in prima pagina. Predomina il conformismo di una stampa normalizzata (è sufficiente seguire la rassegna televisiva dei titoli dei giornali), sempre uguale, piatta, con un preoccupante sospetto sulla deriva professionale: molti giornalisti sono stati intimiditi, piegati al potere politico e a quello economico. Quest’ultimo ha sì la forza per mandare avanti le imprese editoriali, ma non la competenza e l’interesse a gestirle pensando soprattutto ai lettori. Il caso Gedi è illuminante: tanta spocchia e poca resa. Guardare sempre dall’alto il mondo sottostante fa apparire i lettori come formiche. Se guardiamo alle nostre spalle, al nostro passato umano e professionale ci accorgiamo, inoltre, che oggi sono una rarità i Direttori con la schiena dritta. Sono le mosche bianche del giornalismo del terzo millennio che, a ben guardare, potrebbero essere invece determinanti per farci superare la crisi.
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