Differenti visioni sulla questione dell’emendamento che vieta ai giornalisti (deve essere ancora approvato al Senato) di riprodurre le ordinanze di custodia cautelare. Vale a dire i motivi per cui qualcuno viene arrestato. 

Raffaele Cantone, procuratore di Perugia, già presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, in un’intervista a la Repubblica. 

Caterina Malavenda, avvocatessa esperta di diritto dell’informazione e della comunicazione, in un pezzo sul Corriere della Sera. 

Goffredo Buccini, inviato del Corriere della Sera, cronista giudiziario in prima linea a Milano negli anni di Mani Pulite, in un tweet.

ALLARME NON GIUSTIFICATO

Dice Cantone a Liana Milella: “La norma non mi piace, ma non credo che l’allarme sia giustificato. Di fatto si tornerà alla situazione precedente al 2017, quando le ordinanze non potevano essere riportate integralmente. Non sono d’accordo che la norma produca il ‘buio’ sulle indagini, però credo che sia un rilevante arretramento culturale, né necessario né opportuno. Con le norme sulla presunzione d’innocenza e sulle intercettazioni non si erano più verificati i problemi segnalati in passato. Il rischio è che si ripristino certi circuiti sotterranei attraverso i quali sono sicuro che comunque circoleranno le ordinanze cautelari. Si rischia di tornare allo spaccio abusivo delle ordinanze. Anche perché se per i magistrati è previsto un illecito disciplinare nel caso in cui dovessero fornire documenti ai giornalisti, per altri soggetti del procedimento non c’è alcuna sanzione qualora dovessero dare le copie sottobanco”. 

RIFORMA ORLANDO

Scrive Malavenda: “C’è chi grida all’ennesimo bavaglio e chi enfatizza l’ampliamento delle garanzie per chi viene arrestato nel corso delle indagini”. Malavenda ricorda che nel 2017 la “riforma Orlando” voleva contemperare il diritto di cronaca e la tutela dell’indagato. Si permetteva ai giornalisti di pubblicare le ordinanze, ma si era deciso anche di  impedire al gip che le redige di riportare le intercettazioni, salvo i brani strettamente necessari per giustificare l’arresto, così da evitare che conversazioni anche private finissero in pasto all’opinione pubblica: “È, tuttavia, innegabile che nessuna modifica normativa, neppure quest’ultima, potrà dissuadere l’uomo della strada -in ciò incentivato da quel che sente ogni giorno da politici, tecnici e mass media- dal credere che chi viene arrestato qualcosa abbia fatto e che, se viene assolto, non è innocente, ma solo fortunato o potente al punto da piegare la giustizia; o che, al contrario, sia vittima delle storture giudiziarie, visto che molti, anche se arrestati, vengono poi assolti. Il problema più che giuridico, dunque, sembra essere culturale e andrebbe risolto prima e da tutti su questo piano, convincendolo che il sistema è perfettibile, ma funziona”. Scrive Malavenda che “sarebbe utopia pensare che sul processo cali il silenzio fino al dibattimento o, secondo i più garantisti, fino a sentenza definitiva, perché a tacer d’altro precluderebbe il controllo del popolo sull’attività giudiziaria, amministrata in suo nome, a partire dalla scelta di arrestare l’indagato”. 

sintesi non testuale

Quindi, quando la delega approvata alla Camera sarà legge, secondo Malavenda, “il giornalista che legittimamente entrerà in possesso di un’ordinanza di custodia cautelare, magari molto lunga ed articolata, come fa con tutti gli altri atti di indagine potrà divulgarne il contenuto, cioè farne una sintesi, senza trascriverne neppure un passo, rinunciando, come avviene adesso, alla comodità di metterla in rete e di commentarla, citandone i passi salienti e lasciando che sia l’utente a trarne le conseguenze, potendola leggere integralmente”. Questo è il cambiamento chiave, che sta per essere introdotto. Spiega Malavenda: “La scelta adottata rischia di essere penalizzante proprio per chi si vorrebbe proteggere. Il giornalista potrà scegliere, infatti, in buona fede o anche no, quali parti dell’ordinanza sintetizzare e quali tralasciare, offrendone così una visione parziale e senza che chi legge possa conoscere il resto, magari esposto in pagine ignorate che riducono o ampliano l’impatto negativo di quelle riassunte. La sintesi potrebbe poi rendere più ostico o peggio tradire il senso stesso del provvedimento, là dove la trascrizione letterale ancora una volta lascerebbe al lettore la libertà di valutarlo. Insomma, la scarsa fiducia, a volte meritata, verso chi fa informazione giudiziaria e la tentazione di imbrigliarla rischiano di lasciare sul campo più vittime di quante ne faccia la temuta violazione di una presunzione, quella di non colpevolezza, sancita a chiare lettere nella Costituzione fin dal 1948, ma mai entrata ed è questo il vero problema a far pienamente parte del comune sentire”.

calma, colleghi

Terzo contributo al dibattito, Goffredo Buccini su Twitter (X): “Calma, colleghi, a parlare di #bavaglio. Si possono fare (e si fanno) inchieste non a ricasco delle ‘carte’, siamo stati viziati da decenni di collalteralismo giudiziario. Le carriere da separare davvero sono quelle di pubblico ministero e giornalista, l’ordinanza di custodia cautelare è storicamente usata sui media per abbattere il nemico, poco importa se colpevole o innocente, a prescindere dal processo. Bravo @Enrico _Costa”. 

     

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