La ex sindaca Zarifa Ghafari, esule in Germania. La ex magistrata Maria Bashir, minacciata di morte. La ex deputata Malalai Joya, sfuggita alla vendetta, ora in semiclandestinità in Spagna. Donne che rischiano ogni giorno la vita restando, come la candidata al premio Nobel per la pace Mahbouba Seraj, o come Roqia, che voleva diventare pilota, sogno naufragato nei divieti dei fondamentalisti islamici.

Da metà febbraio a marzo 2023, ogni giorno Avvenire ha pubblicato, online e sul giornale di carta, la testimonianza di una donna afghana, fino ad arrivare a una galleria di oltre 40 storie, ora raccolte nel libro “Noi, afghane. Voci di donne che resistono ai talebani”, edito da Vita e Pensiero, nella collana Pagine prime (200 pagine, euro 15). Curato da Lucia Capuzzi, Viviana Daloiso, Antonella Mariani. Ogni intervistata è stata incontrata -dalle firme femminili di Avvenire- di persona in Italia o in Europa, oppure in videoconferenza dall’esilio in Pakistan, o raggiunta con difficili collegamenti in Afghanistan.

calciatrice e cestista

Giovani che volevano praticare il loro sport preferito come la calciatrice Nazira, oggi rifugiata in Italia, o la cestista disabile Nilofar, che ora porta la maglia di una squadra di basket di Bilbao. Madri di famiglia come Zakia, arrivata in Italia dopo una fuga precipitosa nell’agosto 2021, con marito e due figli: gestiva a Kabul una scuola per bambini autistici finanziata da una ong italiana.

Il progetto #avvenire-perdonneafghane è nato nello scorso gennaio, in vista dell’8 marzo. Dall’agosto 2021, quando i taleban hanno preso il potere, è stato un susseguirsi di bandi: l’associazione Nove onlus ne ha contati 46 “ufficiali”, a cui si aggiunge una ventina di obblighi travestiti da “consigli”. Un elenco di proibizioni che ha eliminato la presenza femminile dalle università, dai luoghi di lavoro, dai parchi, dai negozi. Le donne non possono salire su un taxi o passeggiare per strada da sole, né entrare in un bagno pubblico, fare le estetiste e le parrucchiere. “I taleban -scrivono le curatrici- vogliono città senza donne in una nazione senza donne; propugnano una società ‘monogenere’ poiché temono che il confronto e il dialogo con l’altra eroda le fondamenta di un potere forgiato dalla guerra e perpetuato in nome di essa. Una terrificante doccia fredda, dopo le speranze suscitate nel ventennio di governo instaurato dalle potenze occidentali, dopo l’invasione conseguente all’attentato delle Torri Gemelle del 2001”.

 infermiere e studentesse

Il libro è frutto anche di un lavoro di rete con le associazioni impegnate in Afghanistan nel sostegno alla popolazione: “Con il loro supporto abbiamo potuto ricevere dall’Emirato e pubblicare, sotto anonimato, lettere scritte in prima persona da donne che combattono per i più elementari diritti: giovani infermiere che con il loro lavoro mantengono decine di familiari e tremano al pensiero di ciò che accadrebbe se dovessero perderlo, studentesse che hanno visto azzerare i loro percorsi universitari, operatrici umanitarie che si devono nascondere per distribuire i viveri per la sopravvivenza delle vedove di guerra e dei loro figli”. Nel libro c’è anche una sezione fotografica-letteraria: Laura Salvinelli, più volte inviata in Afghanistan, con i suoi ritratti ha ispirato cinque scrittrici e giornaliste, che hanno scritto altrettanti racconti: Ritanna Armeni, Tiziana Ferrario, Mariapia Veladiano, Marina Terragni e Silvia Resta. 

Accanto alla campagna giornalistica, è stato anche chiesto ai lettori di sostenere un’opera educativa non ufficiale, per aiutare le ragazzine espulse dal sistema di istruzione. E’ stata raccolta una somma rilevante, già consegnata ai referenti locali in Afghanistan. L’esperienza della “scuola che non c’è” è diventata un documentario, realizzato da Lucia Capuzzi con il regista Alessandro Galassi, presentato il 6 settembre a Venezia. Il docu-film completo sarà al centro di un evento nell’ambito della MedFilm Festival di Roma, a novembre. 

(nella foto, Lucia Capuzzi)

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