Nei giorni scorsi, ho partecipato come delegato del Piemonte al congresso dell’Unione Nazionale Pensionati giornalisti. Un’esperienza a mio modo di vedere molto deludente e che mi fa pensare che quell’organismo (al di là del fatto che ha solo funzioni consultive all’interno della Fnsi) abbia purtroppo scarsa capacità (e volontà) di rappresentare gli interessi dei pensionati.

Ciò che immaginavo era che quel congresso, il primo a svolgersi dopo il passaggio delle nostre pensioni all’Inps, fosse dedicato a discutere di questa tormentata vicenda. Così non è stato, anzi: il “caso Inpgi” è rimasto, durante tutti i lavori, il convitato di pietra. Il presidente uscente, Guido Bossa ha definito il passaggio all’Inps “una scelta politica non amichevole nei nostri confronti, favorita anche da un comportamento corrivo di parte della nostra categoria”. Non so voi, cari colleghi non più attivi, ma io quando ricevo ogni mese la mia pensione dall’Inps, non mi sento affatto colpito da attacchi “non amichevoli”.

Secondo me, chi non vuole ammettere che avendo trascinato la crisi del nostro istituto sino al limite, ha poi provocato un salvataggio (per fortuna!) nell’Inps in extremis, con strascichi che, se la questione fosse stata affrontata per tempo, forse oggi non ci colpirebbero (penso in particolare al prelievo Casagit e alle sue conseguenze fiscali). Invece di fare questo, si è agitato per mesi l’improbabile progetto dell’ingresso dei comunicatori prima e dell’intero comparto dell’editoria poi.

Bossa ha anche aggiunto che il prelievo dell’1% per i primi sei mesi del 2022 è da attribuire a una “decisione politica del governo che conferma una animosità preconcetta”, senza in nessun modo citare la delibera dell’Inpgi che quel prelievo aveva istituito, nel tentativo di allontanare il commissariamento dell’ente.

La stessa presidente in prorogatio dell’Inpgi è intervenuta nel congresso senza affrontare se non lateralmente (“C’è andata meglio che ad altre casse previdenziali confluite nell’Inps”) questo tema, dedicandosi invece a spiegare la questione dell’approvazione del nuovo statuto di Inpgi2 che riguarda i colleghi autonomi.

A questo punto, sono intervenuto spiegando la mia posizione e lamentando la grave omissione da parte del presidente che non aveva rivolto neppure una citazione di ringraziamento a Sergio Mattarella che, con la sua pronuncia sulla “garanzia pubblica” previdenziale prevista dalla Costituzione, aveva dato il via al salvataggio delle nostre pensioni nell’Inps.

In seguito a questo mio intervento, la delegazione del Piemonte mi ha chiesto di candidarmi alla presidenza dell’Ungp in contrapposizione a Paolo Serventi Longhi, una candidatura già blindata dall’attuale maggioranza della Fnsi. Ho accettato, come ho spiegato, sapendo che si trattava di una candidatura che assicurava solo un “diritto di tribuna” (e senza speranza alcuna di riuscita) per chi non intendeva allinearsi.

Serventi Longhi è stato eletto presidente, e a quel passaggio da Inpgi a Inps, replicando proprio a me, ha riservato solo una battuta: “Io ero tra quelli che speravano nella salvezza dell’Inpgi”.

Aggiungo un’ultima riflessione. Dopo aver deliberato all’unanimità una mozione che chiede di istituire la Commissione Pari Opportunità nello statuto dell’Ungp, dopo una serie di interventi che apprezzavano una presenza femminile tra i delegati eletti finalmente non marginale, la maggioranza che ha vinto il congresso ha lasciato fuori dall’esecutivo sia la collega piemontese Tiziana Longo, sia Marina Cosi (che peraltro fa parte di quella maggioranza): una delle colleghe che si sono sempre battute per affermare diritti, uguaglianze e dignità delle donne e delle giornaliste in particolare. Ostracismo nelle urne, infine, anche per le colleghe romane che da anni si battono nel “Comitato ex Fissa”.

La consolazione? Che tra poco l’Unione cambierà nome: non sarà più la rappresentanza dei “giornalisti pensionati”, ma dei “giornalisti seniores”. 

e.boffano@ilfattoquotidiano.it

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