di MICHELE MEZZA

Si aggira uno spettro nelle redazioni in tutta Europa, che si chiama ChatGPT.

Forse il titolare della metafora dello spettro, che faceva di mestiere il giornalista, non sarebbe così turbato, come mostrano di esserlo molti colleghi, dinanzi al nuovo dispositivo di intelligenza artificiale, che incombe sulle redazioni.

Proprio quel collega di due secoli fa, così attento alle trasformazioni sociali e certo non prevenuto contro il mondo del lavoro, cercherebbe oggi di cogliere i punti di contraddizione e di attacco ai nuovi assetti che la digitalizazione impone per rovesciarne il senso, piuttosto che demonizzarne l’effetto e rassegnarsi ad una inevitabile sconfitta.

termini sindacali

Il prossimo congresso della Fnsi potrebbe dare un segnale in questa direzione, con un’inversione di tendenza nell’azione della categoria, aprendo una riflessione in termini squisitamente sindacali, sulle modalità e i contenuti di una grande stagione di negoziazione dei processi tecnologici, come per altro fu quella che accompagnò il passaggio dal caldo al freddo nei giornali alla fine degli anni ’70.

Un’opportunità questa di dare un impronta non subalterna all’attività tecnologica, proprio come accadde 40 anni fa con l’arrivo dei computer in redazione, che non pare comunque ancora colta da un dibattito, invischiato nel solito dualismo fra coloro che considerano una minaccia ogni modifica dei linguaggi e delle forme organizzative del giornalismo e coloro invece che se ne fanno menestrelli incondizionati e acritici.

medici e avvocati

La realtà in questi decenni ci ha insegnato che non possiamo più coltivare l’illusione che il mestiere rimanga quello che abbiamo conosciuto: non è più così già oggi, e non solo per noi giornalisti, anche per medici, avvocati, dirigenti d’azienda e amministratori pubblici. È l’intera funzione di mediazione che viene socialmente riformattata, alla luce di una sempre maggiore rivendicazione da parte degli utenti di appropriarsi di saperi, competenze e soprattutto funzioni decisionali.

Proprio per non lasciare la tecnologia solo agli ingegneri dobbiamo, da giornalisti, indagare le cause e gli interessi che stanno alla base di questa tendenza.

Bisogna capire quali siano le ragioni e le matrici sociali di questa “mediamorfosi” e ragionare freddamente per poter interferire nella dinamica di questi processi che abbiamo prevalentemente subìto, avendo come obiettivo la valorizzazione del ruolo protagonista delle professioni artigiane, a cominciare dalla nostra, nell’evoluzione digitale. Una rivendicazione non certo corporativa, ma basata sulla necessità di dare spazio e linguaggio a una visione critica della dinamica tecnologica, che consideri le macchine non metafisici soggetti che si contrappongono all’uomo, ma strumenti di un dominio di una parte dell’umanità, i calcolanti, quella ristretta élites proprietaria che controlla la potenza di calcolo, sui calcolati, la stragrande maggioranza che si riduce ad utilizzare inconsapevolmente istruzioni e costrizioni contenute negli algoritmi. 

declino senza speranza

Per questo  mi pare preoccupante un certo distacco fra la discussione concreta che si sta sviluppando in vista del congresso, e che ha orientato fino ad ora le elezioni nelle associazioni territoriali e le condizioni materiali e concrete di una svolta tecnologica in atto da tempo, quale quella dell’intelligenza artificiale personalizzata.

Così come trovo pericoloso contrapporre ad un approfondimento dell’impatto di queste risorse tecnologiche i disagi di larghi strati di colleghi, sul fronte retributivo, occupazionale e previdenziale. Giocare l’apparente concretezza di queste situazioni contro la necessità di un pensiero forte nei confronti delle trasformazioni socio tecnologiche significa favorire quel declino senza speranza che da 30 anni ci vede perdere ruolo, funzioni e riconoscimenti su tutti i terreni. 

ritrovare efficacia

Il tema da discutere, e su cui ripensare l’intera organizzazione professionale e sindacale, dalla formazione agli assetti redazionali, dalle nuove figure professionali agli istituti contrattuali, riguarda non tanto la spettacolare potenza di queste macchinette digitali, fra cui ora appunto ChatGPT, quanto la loro matrice sociale – la capacità che hanno di rispondere a domande inedite dei cittadini, fra cui noi stessi che siamo i principali utenti di questi nuovi dispositivi – e il modo di poterle riprogrammare per supportare una ritrovata efficacia del nostro mestiere, basata anche sulle risorse tecnologiche.

Due obbiettivi che devono presupporre una visione chiara su quanto sta accadendo: ChatGPT, insieme a Sparrow, la versione di Google dell’applicazione di intelligenza artificiale individuale, non è una sbornia momentanea o una sbandata di moda, come non lo è stato prima Facebook e poi TikTok.

verso l’individuo

Il tratto distintivo di questa nuova ondata digitale, come dicevamo, è proprio un ulteriore decentramento all’individuo, e dunque all’utente dei sistemi di informazione, dell’opportunità di usare una funzione che fino a qualche anno fa era di appannaggio esclusivo di ristretti apparati centrali, civili o militari. Con questa risorsa ogni individuo ha la percezione di trovarsi fra le mani un nuovo strumento per rispondere alla sempre maggiore ansia di partecipazione e protagonismo nella produzione, prima che nel consumo di notizie, così come ha la sensazione di avere più possibilità di partecipare alla cura della sua malattia o ai contenziosi legali che lo coinvolgono, oppure di controllare gli apparati della pubblica amministrazione che lo gestiscono. Il giornalismo è parte di questa trasformazione sociale: se non metabolizziamo questa constatazione faremo fatica a darci una ragione di quanto accade. 

Un decentramento che cambia comportamenti e relazioni, esattamente come fu, all’inizio degli anni ’80, il passaggio dai grandi calcolatori al personal computer, e dieci anni dopo al telefonino: tecnologie che annunciavano un cambio di paradigma nel mercato dell’informazione, che non comprendemmo nei tempi e nei modi necessari.

entusiasmo o rifiuto

Quell’incomprensione è l’origine dei problemi materiali che oggi abbiamo attorno: crisi di status, calo di potere negoziale, marginalizzazione del lavoro redazionale, incapacità a difendere gli asset della categoria. Il rischio è quello di assistere, come alcuni esempi ci dimostrano, a una paradossale Sindrome di Stoccolma, in cui i colleghi o manifestando un rifiuto radicale lasciano campo libero a queste applicazioni, che si impongono sulla spinta degli utenti, oppure si vedono redazioni, o peggio intere scuole di giornalismo che fanno a gara a dimostrare come Chat GPT  “lava, stira e si faccia i fatti suoi”, con applicazioni sfolgoranti nel campo della letteratura, o della pittura, per non parlare della capacità di riassumere intere biblioteche in pochi secondi. 

Abbiamo duramente imparato sulla nostra pelle il risultato dell’atteggiamento tipo Nimby (not in my back yard), l’acronimo simbolo dei movimenti che inibiscono nei pressi della propria residenza ogni attività che possa lasciare un’impronta ambientale, che tradotto nel gergo giornalistica, significa: come lo scrivo io non lo scriverà mai nessuno, niente potrà offuscare la mia unicità, come nell’età dell’oro del giornalismo di qualità.

velocità e personalizzazione

Il punto oggi sta invece nella capacità di decifrare con precisione e lucidità cosa stia rendendo indispensabile l’automatizzazione delle redazioni, così come si sta realizzando nelle grandi testate americane ed europee e si annuncia nel nostro Paese. 

Due sono state le spinte che hanno imposto la svolta tecnologica : la velocità di pubblicazione e la differenziazione delle notizie.

La velocità ha reso, come spiega Paul Virilio, l’organizzazione più militare e meno umanamente gestibile. Se oggi il vecchio slogan della Cnn – “slow news no news” – è diventato più estremo, coinvolgendo anche gli approfondimenti con “slow analysis no analysis”, allora è evidente che ogni giornalista si trova spiazzato nella funzione di raccogliere, catalogare, verificare e elaborare i materiali che per altro scorrono fluenti e infiniti, rendendo sempre impossibile una visione globale della realtà di un tema o di un evento. 

inviati addio

Lungo questa filiera si sono indebolite prima le figure di scrittura, con il ridimensionamento nel numero e nella portata delle attività di inviati e corrispondenti, che sempre più diventano costi insopportabili, e dall’altro l’innovazione ha cominciato a mordere l’osso del desk di produzione, dove negli ultimi 7 anni solo negli usa il 42 % dei ruoli è stato cancellato, a fronte di un aumento della produzione di notizie. Giornalismo e giornalisti diventano due fenomeni diversi e contraddittori.

Anche in questo caso la categoria non ha mostrato forza di reazione e voglia di capire, piuttosto è affiorato una rancorosa protesta, anzi un petulante borbottio, per il peggioramento visibile delle condizioni di lavoro e di retribuzione, che ha prodotto il crollo del potere negoziale, con una generalizzata revoca delle principali attribuzioni che avevamo conquistato: dalla fissa, all’Inpgi, fino al decadimento robusto dei livelli retributivi, che avevano sempre confortato la scelta di questo mestiere.

notizie intermediate

Ma è la seconda spinta che agisce in favore di una automatizzazione radicale: la personalizzazione delle notizie. 

Un’abbondante offerta di informazione, siamo nella società della comunicazione, prodotta da un ruminamento continuo in rete di qualsiasi tipo di contenuti, in formato testuale iconografico o video, ha azzerato il  valore di scambio del bene news. 

La gente è portata a non pagare qualcosa che vede sgorgare naturalmente dalla rete, anche per la sua partecipazione e, per altro, non considera più pregiata una notizia intermediata, dunque garantita, da un professionista. 

L’unico modo per ottenere, almeno in parte, adesione ai modelli pay è la personalizzazione sempre più intensa del formato dell’informazione, che deve avere ritmo, cadenza, linguaggio e contenuti strettamente coerenti con il profilo di ogni singolo utente. 

milioni di abbinamenti

Una lezione che abbiamo imparato dalle redazioni dei grandi monumenti giornalistici americani, che nonostante la loro solenne aura si stanno salvando proprio diventando un centro servizi per ogni individuo che vi si affaccia, come documenta nel suo stracitatissimo, almeno da me, saggio “Mercanti di Verità” (Sellerio) di Jill Abramson.

La convergenza fra velocità di realizzazione e personalizzazione dei format rende inevitabile il supporto di dispositivi di raccolta ed elaborazione dei dati, sulla base dei quali si pianifica l’inoltro, l’abbinamento dice la Abramson, ad ognuno dei milioni di utenti unici di quel particolare contenuto, in quel particolare orario, con quel particolare linguaggio.

Siamo ora in Italia arrivati con un certo ritardo rispetto al resto d’Europa, a un passaggio che vede l’intera platea delle testate nazionali aver automatizzato le proprie redazioni digitali ed ora, con i nuovi piani industriali del Corriere della Sera o di Repubblica, stiamo procedendo, con l’unificazione dei desk cartacei e web ad automatizzare l’intera produzione giornalistica.

microsoft e google

Mentre proviamo a digerire questa svolta con forme contrattuali articolate verticalmente, almeno per settori come l’emittenza privata, o le testate digitali locali, arriva il tornado AI.

Parliamo di Chat GPT, di Microsoft, ma anche del nuovissimo, ancora in formato beta, Sparrow, di Google, che dialogano in linguaggio naturale, elaborando contenuti su temi indicati.

Sia Microsoft che Google sono ancora sul crinale di una sperimentazione che deve fare i conti ancora con alti costi di produzione. 

Si calcola che ChatGPT -al momento tarato per circa 6 milioni di utenti, con una dotazione chiusa di 200 miliardi di concetti codificati e di espressioni verbali da combinare fra loro che si fermano al 2021- abbia un costo di esercizio, cioè di funzionamento, per ogni “prompt”, per ogni risposta da dare, di ben 150 volte superiore al costo di ogni risposta ad una query di Google, il cui sistema, Sparrow, è già attrezzato per andare autonomamente in rete a fare il parsing dei contenuti, e dunque lavora anche sulla più stretta attualità.

collaudatori gratuiti

L’addestramento, la procedura che identifica le identità culturali e che rende il sistema più intimo con l’utente, è il terreno su cui intervenire oggi, con forza e determinazione. Bisogna rendere socialmente trasparente questa funzione rivendicandone come giornalisti la condivisione, e non diventando collaudatori gratuiti e subalterni. Dobbiamo chiedere formazione culturale.

Ci sono esperienze, quale quella promossa da Swascan, una società italiana di cyber security , che è riuscita, contando sul fatto che i codici sorgente del sistema ChatGPT sono in standard open source, a scomporre gli algoritmi, individuando le origini degli input etici, in base ai quali il sistema riconosce ciò che è bene e ciò che è male. Lungo questa strada troviamo le competenze e le culture per ridare un volto civile e autonomo a questa capacità.

Dove, come, quando e perché, i giornalisti dovrebbero aggiungere chi e avremo le cinque domande canoniche del mestiere che ora dobbiamo rivolgere ai proprietari. Il congresso si esprimerà su questo punto: chiedere un confronto alle imprese che gestiscono queste risorse per avere chiaro come e cosa stanno preparando e come condividerlo, se ci convince?

domande per i proprietari

Dove intendono mettere i server che gestiscono l’attività in Italia? Come pensano di organizzare le infrastrutture quando realizzano le release (versioni del software) pubbliche? E perché sceglieranno la formula commerciale che verrà adottata? Infine chi potrà controllare dati e avere la possibilità di riprogrammare i sistemi in sede locale?

Sono domande che potrebbero in questa fase spingere le imprese, e anche le istituzioni, nazionali ed europee, a una scelta di trasparenza, e se così non fosse sarebbe bene comunque saperlo subito e pubblicamente.

Proprio ora sarebbe possibile influenzare l’evoluzione di questi sistemi. In questa fase intermedia, invece di gettarci a capofitto a diventare utili clienti di questi prodotti, potremmo avere l’ambizione di esserne i co-progettisti, come appunto la logica dei modelli Osint (Open Source Intelligent) reclama.

condividere soluzioni

Sarebbe utile che categorie come quella del giornalismo, a livello europeo ma anche nazionale, possano interloquire con la proprietà delle piattaforme condividendo formati e soluzioni, per accompagnare il sistema sul mercato. Lo stesso vale per gli apparati sanitari, o per quelli amministrativi.

Questa è la seconda richiesta per il congresso: i giornalisti possono promuovere degli Stati generali delle attività e professioni intermedie, che diano visibilità e forza a una strategia di riqualificazione del sistema paese nella digitalizzazione dei servizi e delle competenze? Non stiamo parlando solo di una difesa di categoria, stiamo cercando un modo per dare all’intero Paese una capacità di interloquire sul mercato delle intelligenze e memorie che rischia di escluderlo. Stiamo anche collaborando ad una nuova idea di cyber security, in cui informazione, informatica e sicurezza siano un sistema organico e trasparente per reggere le prossime sfide della guerra ibrida.

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