Concordo con l’analisi di Vittorio Roidi (“Coronavirus: tutti gli errori e tutti i cambiamenti da fare”) sui cambiamenti che andrebbero fatti nel giornalismo, ma da tempo ho seri dubbi sulla qualità e la democrazia dell’informazione nel nostro paese. Detto che il sindacato in diverse occasioni è diventato una controparte della categoria, schierandosi con gli editori, anche in sede legale, contro i colleghi, faccio solo un paio di riflessioni. Il giornalismo “seduto” già esiste da anni ed è destinato a proliferare, perché le redazioni sono ridotte ai minimi termini. Vivo in Toscana e leggo anche l’informazione locale: su testate come Il Tirreno e La Nazione, che pure fanno parte di gruppi editoriali nazionali, puoi trovare la stessa firma quattro o cinque volte al giorno. Non si tratta solo di collaboratori ma anche di professionisti evidentemente bravissimi, perché dotati del dono dell’ubiquità. Quanto alla democrazia dell’informazione, dispero da tempo. Alla faccia dell’accesso e del pluralismo, i commenti, gli editoriali delle grandi testate, sono affidati sempre agli stessi colleghi, non piu’ di sei o sette. In tv vedo colleghi che dalle 8 del mattino alle 11 di sera fanno regolarmente tre o quattro comparsate. Una compagnia di giro che monopolizza il dibattito, che lo strozza. C’è un manuale Cencelli della partecipazione, che esclude categorie, esperienze di base, culture. Al dibattito e’ d’obbligo fare sentire le “due campane”, anche se una campana può’ permettersi impunemente di sparare fake news a raffica, senza contraddittorio, o quando il contraddittorio c’è è rissa. Un abbraccio.
Sono stato sindacalista, e vedere che dopo vent’anni siamo ancora alle aziende in attivo che, con la complicità delle leggi e purtroppo anche del sindacato, mandano a casa i colleghi facendo pagare alla collettività il prezzo, aumenta il mio pessimismo sul futuro della categoria.
Gregorio Catalano

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