La qualifica di caposervizio (articolo 11 del Contratto collettivo nazionale) spetta a chi svolge compiti di coordinamento di giornalisti “a prescindere dalla circostanza – formale – che siano o meno lavoratori dipendenti”. Quindi anche a collaboratori autonomi, la cui “disponibilità continuativa (…) garantisce all’editore l’uscita del quotidiano”.
Lo stabilisce il Tribunale di Padova – con una sentenza del 9 giugno 2025 del giudice Silvia Rigon – entrando per la prima volta nel merito del modello editoriale da anni denunciato dal Sindacato giornalisti Veneto, che rivendica il ruolo fondamentale dei cosiddetti co.co.co. nella fattura del giornale. Rcs Mediagroup (già Rcs Edizioni Locali) è stata condannata in primo grado a riconoscere l’inquadramento superiore e a versare tutte le differenze retributive a partire dal febbraio 2012, oltre a regolarizzare la posizione previdenziale di un giornalista.
Secondo il tribunale, ora Rcs dovrà ripensare non solo l’inquadramento del singolo giornalista, ma l’intero assetto organizzativo.
Sgv, con le legali Marialuisa Miazzi e Angela Rampazzo, ha patrocinato la causa del collega di Rcs per il riconoscimento della qualifica di caposervizio, dopo che sono falliti tutti i tentativi di negoziazione con l’azienda. L’articolo 11 del Ccnlg dice: “È considerato caposervizio il redattore al quale, salvo quanto disposto all’art. 22, sia stata attribuita la responsabilità di un determinato servizio redazionale a carattere continuativo e abbia alle proprie dipendenze due o più redattori e/o collaboratori fissi di cui all’art. 2, con il compito di coordinarne e rivederne il lavoro fornendo le opportune direttive”. Secondo Rcs è vero che il collega seleziona le notizie, fa i titoli, gestisce le pagine, le manda in tipografia per l’okay si stampi, ma non ha diritto alla qualifica di caposervizio in quanto coordina “solo” cinque collaboratori esterni per due edizioni di cronaca locale di cui si compone il Corriere del Veneto.
Su queste basi il Sindacato, con il Comitato di redazione, ha avviato il contenzioso, “per smascherare come molti editori organizzano oggi le redazioni: il ricorso massiccio a collaboratori ‘formalmente’ autonomi che snatura il modello di redazione voluto dalle Parti sociali e dal Ccnlg, e impedisce il riconoscimento dei diritti dei lavoratori e dei corretti inquadramenti professionali”.
La sentenza rivela un’organizzazione redazionale che consente all’editore di abbattere i costi e di mantenere un apparato redazionale ridotto, scaricando funzioni e responsabilità su esterni trattati (ma non pagati) come interni.




