di MICHELE CONCINA
Scavare e portare alla luce, senza riguardi per nessuno: non servono molte parole per definire il giornalismo d’indagine. Ed è a questo lavoro che viene attribuito dalla Columbia University il più prestigioso dei premi Pulitzer, i cui vincitori sono stati annunciati il 6 maggio. Quest’anno il premio per il “Public Service” è andato a un’organizzazione piccola e giovane. Si chiama ProPublica, è stata fondata nel 2007 e ha 34 giornalisti molto selezionati. Cinque di loro hanno condotto, spiega la motivazione, “un reportage innovativo e temerario che ha infranto lo spesso muro di segretezza che circonda la Corte Suprema, rivelando come un piccolo gruppo di miliardari politicamente influenti ha corteggiato i giudici con regali e viaggi sontuosi. E ha spinto la Corte ad adottare per la prima volta un codice di condotta”.

immobiliarista texano

Sono rivelazioni che dovrebbero indurre i supremi giudici ad abbandonare lo scranno, buttar via la toga e seppellirsi nella buca più vicina. Ma naturalmente nessuno di loro se lo sogna. A cominciare da Clarence Thomas: su di lui i giornalisti di ProPublica hanno scoperto che Harlan Crow, immobiliarista texano straricco e finanziatore del Partito repubblicano, gli ha offerto vacanze di lusso per vent’anni, con tanto di aerei privati per gli spostamenti; ha pagato la retta di un nipote in una scuola privata esclusiva; ha condotto una transazione immobiliare che il giudice avrebbe dovuto per legge rendere pubblica. Rapporti simili legano il giudice Samuel Alito al finanziere Paul Singer.

demenza senile

Molti degli altri 14 premi, ma non tutti, sono andati ai giganti, i grandi quotidiani americani tuttora protagonisti dell’informazione. Hannah Dreier, per il New York Times, ha vinto per una serie di servizi “che rivelano le incredibili dimensioni del lavoro minorile degli immigrati negli Stati Uniti e gli errori delle aziende e degli amministratori pubblici che lo perpetuano”. La redazione del colosso di Manhattan ha vinto, per il terzo anno consecutivo, nella categoria “International Reporting”, per la copertura dell’attacco di Hamas del 7 ottobre e della successiva risposta israeliana. E la collaboratrice Katie Engelhart ha vinto nelle “Features” con il ritratto di una famiglia in cui la madre viene progressivamente divorata dalla demenza senile.

fucile d’assalto

Tre premi anche al Washington Post. Alla redazione, per un’analisi approfondita e agghiacciante, corredata da terribili fotografie, del ruolo svolto dal fucile d’assalto AR-15, da decenni l’arma più usata nelle stragi di massa. A Vladimir Kara-Murza, che non è neppure un giornalista, ma è riuscito a far uscire i suoi scritti dal carcere russo in cui è rinchiuso da oltre due anni per la sua opposizione alla guerra in Ucraina. Raccontando che cosa succede a chi dissente dalla politica di Putin, e tenendo viva la speranza di “un futuro democratico per il suo Paese”. E il terzo premio del quotidiano di Washington è andato a David Hoffman, per “una serie avvincente e approfondita sulle nuove tecnologie e le tattiche che i regimi autoritari usano per reprimere il dissenso nell’era digitale, e su come possono essere combattute”.

comunità non bianche

Sarah Stillman, una giornalista del New Yorker che si occupa soprattutto di diritti umani, ha vinto nella categoria “Explanatory Reporting” per un servizio sulle distorsioni del sistema legale americano che sfavoriscono pesantemente le comunità non bianche. E sempre per il raffinato settimanale di New York (cent’anni fra poco) lavora Medar de la Cruz, un illustratore che ha raccontato in bianco e nero la “fame di libri” che accomuna i detenuti e le guardie del carcere di Rikers Island. La redazione dell’agenzia Reuters è stata premiata per una serie di servizi che fanno le pulci a Elon Musk, portando allo scoperto le più che discutibili pratiche industriali e commerciali del signor Tesla.
È facile osservare, naturalmente, che i Pulitzer mettono in mostra il giornalismo a stampa, una sorta di ridotto progressista in un mare d’informazione televisiva scolorita, quando non apertamente reazionaria come quella di Fox News. Ed è anche vero che centinaia di quotidiani locali, ossatura e palestra del giornalismo americano per molti decenni, sono a rischio d’estinzione più del panda. Tuttavia, il successo planetario del New York Times, insieme alla nascita di soggetti agili ed efficaci come ProPublica, lasciano intravedere un futuro non troppo nero.

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