di STEFANO BRUSADELLI

Mentre si fa un gran parlare di separazione delle carriere dei magistrati, sarebbe forse il caso di fare anche una riflessione (paradossale, ma fino a un certo punto)  sull’opportunità di un’analoga riforma, ma da fare nel mondo dei giornali. 

Andrea Garibaldi constatava con amarezza su questo sito che in molte testate il Direttore responsabile (il quale, ai sensi dell’articolo 6 del contratto di lavoro giornalistico, è tenuto ad “adottare le decisioni necessarie per garantire l’autonomia della testata”), agisca ormai come longa manus dell’editore e dei suoi interessi. Privilegiandoli anche a scapito degli umori dei suoi giornalisti e persino delle loro deliberazioni, vedasi i casi di Direttori sfiduciati che restano tranquillamente al loro posto per il solo fatto di continuare a godere della fiducia della proprietà. Fiducia che evidentemente si intende più rilevante (e legittimante) di quella espressa dalla redazione. 

mutazione della figura

E’ difficile negare che è in atto, e in modo sempre più evidente, una mutazione della figura del direttore. Non  più il leader che deve difendere gli interessi dei suoi giornalisti dinanzi alle ragioni e alle pretese (più o meno lecite) dell’editore, ma, oramai, anzitutto, il rappresentante degli interessi di quest’ultimo. Incaricato, anche, di fronteggiare con pugno duro le scontentezze, le proteste e le rivendicazioni dei colleghi. Quasi sempre riuscendoci.

Non è facile stabilire di cosa tale trasformazione sia figlia. Magari di un clima in cui nel confronto tra capitale e lavoro il primo ha stravinto; e anche di una grave caduta della redditività dei giornali per cui, in fin dei conti, chi ci mette (ancora) i soldi pretende d’avere almeno uno strumento docile al servizio del proprio tornaconto, e s’attrezza di conseguenza soprattutto con la scelta del Direttore.

cambio di ruolo

Ma limitarsi a sottolineare la sempre più accentuata omologazione dei giornali alle logiche padronali che guidano ogni altra attività imprenditoriale sarebbe una visione parziale. Bisogna anche chiedersi perché tanti colleghi Direttori accettino questo cambio di ruolo. E qui, io credo che il morso fatale della mela sia avvenuto quando i direttori hanno iniziato (in particolare dagli anni ‘90 in poi) ad assumere incarichi di natura manageriale. Un manager che abbia fatto il Direttore per l’editore è la scelta ideale: conosce il prodotto, i tempi, i costi, la mentalità (e le debolezze) dei giornalisti. Ma anche il giornalista diventato manager trova il suo vantaggio: guadagni più alti e meno stress. 

massimo desiderio

Da allora, però, le redazioni si sono ritrovate sempre più spesso guidate da direttori il cui obiettivo, più o meno silenzioso, era quello di passare il prima possibile da una carriera all’altra: da quella giornalistica a quella manageriale. Con la conseguenza che mentre in passato chi entrava nella professione coltivava come massimo sogno quello di diventare Direttore, oggi questo grado viene visto solo come un passaggio intermedio sulla strada per diventare manager. 

Ecco, forse ci vorrebbe pure in casa nostra una bella separazione delle carriere. Solo che -a differenza di quella dei magistrati- non si può stabilire per legge. E infatti tutto quel che ho scritto è in fin dei conti solo una provocazione

Però, pensiamoci: non sarebbe bello se diventare Direttore (e basta) tornasse a essere il massimo desiderio di ogni iscritto ad una scuola di giornalismo e di ogni praticante ? 

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