Libero e Il Giornale hanno lo stesso azionista di maggioranza, il senatore e imprenditore della sanità leghista, ex Forza Italia e Popolo della Libertà, Antonio Angelucci. Ma saranno diversi. Per catturare pubblici diversi.

Uno un po’ più meloniano. L’altro un po’ meno leghista.

Si può intravedere tutto questo dai fondi di ingresso dei nuovi direttori, Mario Sechi a Libero e Alessandro Sallusti al Giornale (dove non è tanto nuovo, avendo diretto la testata per undici anni, dal 2010 al 2021).

“Spirito corsaro”

Sechi, successore, peraltro, a Libero di Sallusti e proveniente direttamente dal ruolo di capo ufficio stampa di Meloni a palazzo Chigi, titola su Libero “Il vantaggio dell’anno dopo”. Scrive che dopo 23 anni “lo spirito corsaro di Libero è più vivo che mai”. Aggiunge che “dopo un anno, il governo ha ancora un consenso alto (c’era chi ne profetizzava la morte in culla) e basta leggere la cronaca per concludere che l’esecutivo ha l’orizzonte della legislatura”. Che “il centrodestra ha un’opportunità che riassumo così: programmare. La legge di Bilancio è dettata dalla congiuntura economica (i guai della Germania e non solo), dal negoziato sul Patto di stabilità, dal voto per il Parlamento europeo, dal bancomat di Stato che era stato messo in piedi dai cinque Stelle”. Che fare?, si chiede Sechi? E si risponde, fiducioso: “Meloni un anno fa sorprese i mercati (mal informati dalla lettura del giornalismo a una dimensione, sinistra), oggi si presenta con una credibilità internazionale ottenuta sul campo. Prenderà di nuovo tutti in contropiede”.

borghesia moderata

Sallusti, di ritorno al Giornale, invece spiega “Perché saremo un giornale di opposizione”. Come cinquant’anni fa, quando Il Giornale fu fondato da Indro Montanelli, “ci mettiamo a disposizione per dare vece non a un partito, non a qualche potentato, bensì a quella borghesia moderata e liberale senza l’apporto della quale non è immaginabile che il Paese cresca e la società migliori”. Per questo -dice Sallusti- “saremo un giornale di opposizione, ovviamente opposizione alle sinistre che non accettano la sconfitta elettorale, ma anche al centrodestra nel caso qualcuno, per calcoli di bottega, provasse a tradire la fiducia data da milioni di italiani non necessariamente iscritti o simpatizzanti di questo o quel partito”.

investitori esteri

Poi c’è l’editoriale di Osvaldo De Paolini, che si è dimesso dal Messaggero un giorno di giugno in circostanze mai ben chiarite, riappare qui come vicedirettore e detta la linea economica, in particolare in vista della Finanziaria di fine anno: “E’ sconsigliabile che nella ricerca delle coperture si replichi nel solco della tassa sui profitti delle banche, perché se il principio trova giustificazione nella logica per cui ‘ tutti devono contribuire’, le modalità con le quali il provvedimento è stato annunciato non sono d’aiuto al Paese: gli investitori esteri hanno buona memoria, e se li affronti senza le dovute attenzioni il credito accordato potrebbe ridursi, e persino svanire di forte a un nuovo strappo. Inoltre, così facendo si scoraggiano banche da tempo impegnate nel sociale, come è il caso di Intesa San Paolo. Per questo, se davvero si vogliono aiutare le piccole e medie imprese gravate da debiti deteriorati, è necessario seguire strade diverse da quelle suggerite da alcune voci della maggioranza: obbligare i fondi detentori a vendere sottocosto i crediti deteriorati, fissandone il prezzo per legge, oltre a cambiare le regole in corsa (sconsigliabile per molti motivi) equivarrebbe ad azzerare il concetto di mercato. Né vale l’idea che per fare cassa in fretta sia necessario svendere parte del patrimonio industriale quotato e non quotato, quando si possono allocare diversamente risorse che da decenni ammorbano il bilancio dello Stato. Persino nel caso di Banca Mps, sebbene l’anomalia del controllore che possiede il controllato vada sciolta quanto prima per evitare indesiderate distorsioni, prima di pensare alla sua valorizzazione vale la pena di attendere che il costoso investimento del Tesoro produca frutti concreti. Ciò, sempre che l’ansia di ‘ritenzione’ manifestata da alcuni esponenti della Lega durante il Forum Ambrosetti non celi altre ambizioni: non ha portato bene l’ultima volta che qualcuno esclamò euforico ‘Allora abbiamo una banca!'”.

Per riportare la situazione sulla terra, diremo soltanto che Il Giornale è passato dal giugno 2021, da 38.957 copie di diffusione giornaliera al giugno 2023 con 31.065 copie. Mentre Libero è passato dalle 21.283 copie del luglio 2021 alle 24.694 del giugno 2023.

(nella foto, Alessandro Sallusti)

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