“A lavorare qui siamo quasi tutte donne. E siccome siamo donne, chiunque si sente in diritto di entrare e dire qualsiasi cosa. Anche offenderci. Soprattutto offenderci. Perché, tanto, noi ridiamo”. Spiare il mondo dei magazine di moda e attualità. Raccontare il lavoro delle donne, più difficile anche in ambienti in apparenza attenti ai diritti. 

Sono i temi di “Coccodè” (Mursia, pagg. 252, Euro 17,00), romanzo della giornalista Ambra Radaelli. Sottotitolo: “Una storia di quiet quitting”, nuova tendenza che significa: lavorare il necessario per non perdere il posto di lavoro, rifiutarsi di fare straordinari, di aderire a progetti e di assumersi responsabilità che non rientrano strettamente nell’orario di lavoro e nelle mansioni del contratto. 

Nella storia ci sono le difficoltà e le trappole della vita in una redazione, tutt’altro che facile, soprattutto se non si hanno padrini e non si accettano compromessi, come è il caso di Elena, la protagonista. Viene da una famiglia umile, ma un po’ il talento un po’ la fortuna l’hanno aiutata a entrare in un importante periodico. La crisi dell’editoria inasprisce i caratteri già bizzarri dei suoi colleghi, che faranno di lei un capro espiatorio. 

Una storia che parla delle dinamiche comuni a tutti gli ambienti di lavoro, in cui spesso sono i migliori a uscire sconfitti. Con un messaggio: “A mandare avanti gente che non vale, perdiamo tutti. Perdono i lettori dei giornali, ma anche i pazienti dei medici, gli assistiti degli avvocati, gli elettori dei politici, il pubblico del cinema, tutti, tutti, tutti perdiamo.”

Ambra Radaelli (Milano, 1969) è giornalista dal 1992. Ha lavorato per il Sole 24 Ore, La Notte, varie testate Rizzoli e Mondadori, e, dall’anno dopo la sua fondazione, alla sezione attualità di D, allegato a la Repubblica. Ha pubblicato il romanzo “La casa dell’estate” (2007) e il libro reportage “La musica salva la vita” (2012).

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