di FABRIZIO BERRUTI

Per raccontare la storia del rapporto tra servizio pubblico radiotelevisivo, politica e potere si può anche ricorrere ai codici narrativi del genere crime.

È un esercizio intellettuale che riserva molte sorprese.

Come in tutti i gialli che si rispettino in questa storia c’è un protagonista, di solito il poliziotto o il magistrato inascoltato e ostacolato, c’è il colpevole e c’è la scena del crimine, o quello che immaginiamo tale.

Il protagonista nel nostro caso, non il solo ma sicuramente uno dei più importanti e autorevoli che la Rai abbia mai schierato nel suo decennale palinsesto, è Sergio Zavoli, maestro del giornalismo televisivo, scomparso da 2 anni e troppo presto dimenticato.

il colpevole e la scena

Il colpevole è la politica che ha sempre esercitato un ruolo pesante e difficile nella storia della Rai, sin dalle sue origini.

La scena del crimine, si passi il termine, è la Rai, il Servizio Pubblico Radiotelevisivo appunto, in cui Zavoli ha operato come giornalista e come dirigente.

La Rai è il convitato di pietra di qualsiasi riflessione su media, politica e potere, ma non solo, anche sul fronte del mercato e su quello delle scelte editoriali e creative. 

In sostanza sulla nostra libertà di espressione, garantita dalla Costituzione e alla base della convivenza democratica.

libertà di pensiero

Ne era ben consapevole Sergio Zavoli quando da giornalista affrontava temi scottanti per i palazzi del potere. Come con l’inchiesta “Un codice da rifare”, in onda nel gennaio del 1970 per lo storico programma di approfondimento giornalistico Tv7: un’intera puntata sul codice Rocco e la sua incompatibilità con la Carta costituzionale, in particolare sulla libertà di manifestazione del pensiero.

Un mese dopo la strage di Piazza Fontana il reportage di Zavoli provocò una furibonda reazione della destra e, dopo un feroce dibattito sulla stampa e nel Parlamento, a rotolare fu la testa del Presidente della Rai, Aldo Sandulli e il programma di lì a poco, nel 1971, fu chiuso.

Eppure, il successo di pubblico e di critica di quella stagione di Tv7, dal 1963 al 1971, fu straordinario, riuscendo spesso ad incidere sul rinnovamento profondo che il Paese stava attraversando.

grandi prodotti editoriali

Sempre Zavoli, nel 1967, vestì un ruolo importante nella battaglia condotta dallo psichiatra Franco Basaglia per il superamento del sistema dei manicomi: la cinepresa, entrata per la prima volta in un manicomio, sconvolse milioni di italiani e il suo Tv7 “I giardini Abele” fu l’inizio di una rivoluzione che porterà alla legge 180 e all’abolizione di quelle tremende strutture, più carcere che ospedale.

Potenza del servizio pubblico in tempi in cui, comunque, la politica esercitava un forte controllo sull’informazione e sul racconto della Rai.

Con grandi prodotti editoriali: i programmi di Zavoli e dei suoi colleghi di quegli anni (Angela, Biagi solo per citarne alcuni).

il prodotto e il movente

Sempre seguendo un percorso “crime”, potremmo identificare il prodotto televisivo come il movente del delitto che, in questo caso, appare sullo sfondo. Non se ne parla, non è importante.

Eppure senza il prodotto, i programmi, i telegiornali ma anche l’intrattenimento da servizio pubblico, non c’è televisione.

Così come senza il movente non si spiega il delitto, non c’è il delitto.

Lo aveva ben chiaro Sergio Zavoli che, ricordando i suoi 6 anni, dal 1980 al 1986, come Presidente della Rai, in un’intervista rilasciata a Stefano Corradino per il Radiocorriere Tv del 19 gennaio 2014, sottolineava il punto di snodo, l’inizio del declino della Rai come soggetto protagonista dell’offerta informativa e culturale: “Venivamo dai latifondi ideologici, poi dai compromessi della lottizzazione, infine stava salendo il progetto di una forma pluralista della politica riassunta in impresa privata incaricata di servizio pubblico. Il mercato stava diventando una risorsa del Paese, occorreva solo confrontarsi, distinguendo la ‘nostra’ dalla televisione ‘altrui’, non assumendo le forme, e meno ancora gli interessi, di una televisione commerciale seppure di rango. Invece, per paura di perdere ascolto, anziché dar forza e identità ulteriori al nostro modello ci fu uno strisciante appiattimento sulle modalità e il linguaggio della concorrenza”.

efficace strategia

Comincia da lì, da quel contesto storico, l’inizio della fine.

È il prodotto che fa la differenza, in tv, specialmente quella pubblica finanziata dal canone, ma anche nei giornali.

Quando Zavoli lasciò la Presidenza della Rai ci fu un lungo periodo di reggenza perché la politica, il potere non riusciva a mettere a punto una efficace strategia di governo per l’Azienda di Viale Mazzini.

Sembrava che le forze politiche avessero trovato un punto di accordo intorno alla figura di Pierre Carniti, stimato e battagliero sindacalista, segretario Nazionale della Cisl, per continuare in quel percorso di rafforzamento dello spirito del Servizio Pubblico portato avanti da Zavoli durante la sua Presidenza.

doppio incarico

Il Presidente in pectore convocò una conferenza stampa per spiegare la sua idea di Servizio Pubblico.

Un giornalista si alzò per fare una domanda presentandosi come inviato di un importante quotidiano nazionale e autore per la Rai. Carniti per spiegare la sua idea di azienda, di etica pubblica e di trasparenza editoriale affermò, incautamente, che, se lui fosse stato confermato alla guida dell’Azienda, situazioni di doppio incarico come quella non si sarebbero più presentate in futuro.

Naturalmente Pierre Carniti non è mai diventato Presidente della Rai e quel giornalista sta ancora in onda, a quasi 40 anni da quelle dichiarazioni.

Il delitto perfetto.

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