di MICHELE MEZZA

“Non c’è alcuna differenza nell’amore e nell’impegno che una coppia dello stesso sesso puo avere per il proprio figlio rispetto ad una coppia eteresessuale”.

È una delle risposte che ha dato ChatGPT, il dispositivo di intelligenza artificiale realizzato dalla fondazione americana OpenAI dietro cui si riconosce la mano di Elon Musk, che elabora contenuti in varia forma, automaticamente, ad una delle tante domande  con cui viene ormai quotidianamente sollecitato.  

È diventato in questi giorni di vacanze natalizie il passatempo preferito: fare due chiacchiere con il robot. Ognuno cerca di incastrarlo, con i temi più eccentrici e imbarazzanti. E regolarmente deve faticare a strozzare l’espressione di stupore che segue ogni risposta compita e assennata del sistema.

adozioni dei bambini

Come dimostra la sua reazione alla domanda sulle adozioni di bambini da parte di coppie dello stesso sesso, ChatGPT si muove seguendo un senso comune mutuato dalla rete e filtrato da una serie di assetti concettuali che sono trasmessi dal suo programma originario.

Stiamo parlando di un agente intelligente che, al momento, si propone come superamento, nella forma e nei comportamenti, di Google, come reserche machine. “Un trova robe”, potremmo dire, un apparato di navigazione in rete che, reagendo al nostro linguaggio naturale, ci procura risposte ai quesiti posti, corredate da fonti e contenuti che ci permettono di usarli anche professionalmente.

Ma in realtà, più che il motore di ricerca di Mountain View, che sta correndo ai ripari rilanciando nuove soluzioni che danno più dinamismo e personalizzazione ai propri algoritmi, a tremare dovrebbero essere tutti i mediatori, ossia coloro che di mestiere fanno proprio gli elaboratori di informazioni e di competenze. A partire, naturalmente, dai giornalisti.

scenario minaccioso

Fra qualche settimana si celebra il Congresso nazionale della categoria a Riccione e, dinanzi ad uno scenario davvero minaccioso, dove la categoria si trova sguarnita sia delle sue difese materiali – con il crollo dell’occupazione, la precarizzazione dilagante, e con l’Inpgi scivolata nell’Inps e la Casagit sempre più precaria nel suo funzionamento – ma soprattutto culturali, ciò che rende questo secolo un ambiente ostile al mestiere.

I numeri del mercato sono spietati: rispetto al 2018 le rilevazioni su diffusione e ascolti segnalano in media un calo secco di più del 30% di lettori dei giornali cartacei. Tengono i siti web delle testate, ma sempre in posizione subalterna alle grandi piattaforme di servizio, quali Google e Facebook. Mentre le TV, sia generaliste che pay, sono in recessione, con volumi considerevoli per le due portaerei come Rai e Mediaset.

In questo scenario, mi rendo conto che la tentazione di arroccarsi nella più immediata concretezza, cercando di tappare i buchi, sia forte per un sindacato. Ma a me pare che sia davvero complicato cercare di sventare l’affondamento del Titanic semplicemente spostando gli arredi delle cabine.

identità professionali

Il fenomeno che sta sgretolando gli istituti più tradizionali della professione, appannando le identità professionali, ma soprattutto rendendo insostenibile in qualsiasi forma il meccanismo per cui chi è in attività sostiene chi ne è uscito, secondo il classico sistema di turn over più o meno proporzionale, appare del tutto inarrestabile e soprattutto virale. Più o meno con le stesse caratteristiche e dinamiche che infatti accomuna i sistemi giornalistici di tutto il mondo. Ovunque, ad un’esplosione di giornalismo, con una diffusione e contaminazione delle pratiche del mestiere in ogni ambito sociale, corrisponde un forte calo di giornalisti, con una chiusura delle testate e un ridimensionamento sostanziale della struttura delle redazioni. In sostanza, vediamo uscire dalle testate giornalisti tradizionali, esperti e capaci, ed entrare, quando entrano, figure molto distanti dagli stilemi professionali, che si siedono in redazione con funzioni e incombenze che solo 5 anni fa non erano nemmeno esistite. 

Sulla scia di questi marziani editoriali che atterrano nei giornali, parliamo di una generazione fra i 20 e i 30 anni, con alle spalle esperienze di studio e di pratica tutte maturate nei circuiti delle applicazioni tecnologiche, esperti della combinazione di dati con automatismi digitali, in grado di personalizzare le notizie a secondo del target, dell’ora e della piattaforma. È quella nuova fondamentale funzione che Jill Abramson , ex direttrice del New York Times, nel suo fondamentale libro “Mercanti di Verità” ( Sellerio) indica con il verbo to match, abbinare. 

direttori ingegneri

I nuovi giornalisti, nelle nuove redazioni digitalizzate e ristrutturati da direttori ingegneri, devono, spiega la Abramson, abbinare ogni singola notizia con ogni singolo utente. Per quanto siano numerosi e diversificati questi, tanto devono essere numerose e diverse le notizie, che vanno recapitate ognuna all’utente più affine. Questa è la chiave di quel misto fra marketing, native advertising e giornalismo on demand che permette alle testate americane di risalire la corrente e diventare dei veri e propri centri servizi dell’informazione.

Si tratta di un’operazione mastodontica, assolutamente fuori da ogni possibilità umana, che può essere gestita solo con il supporto di dispositivi digitali, in grado di combinare le identità di ogni utente con la cadenza e il flusso delle notizie. In fondo a questa strada si intravvedono i contorni di un apparato tecnologico che intreccia la frammentarietà dei bisogni degli utenti, la loro pretesa di essere fonte e non solo destinatari dell’informazione, con la potenza di trasporto di contenuti che Internet offre.

dentro una tempesta

È in questo gorgo che prende forma non tanto la crisi dell’editoria, quanto invece la “permacrisi” del sistema mediatico. Proprio in questi giorni il dizionario inglese Collins ha designato il termine Permacrisi (crisi permanente) come il lemma più corrispondente al nostro tempo.

Non possiamo più guardare agli stati di rischio o di pericolo come una condizione provvisoria che cessa così come è iniziata, riportandoci allo stato di quiete. Non siamo nel pieno di una tempesta, ma di un cambio di stagione, siamo in una transizione che ci sta conducendo in un nuovo tempo.

Testimonial del nuovo mondo è ChatGPT, ossia un algoritmo che impara alla velocità della luce con chi sta parlando e che padroneggia l’intera infosfera, tutti i contenuti della rete. Un’intelligenza artificiale che affianca prima e sostituisce poi -almeno in certe funzioni, ma poi dovremo vedere chi cresce prima fra noi e lui- il mediatore, producendo in quantità e qualità contenuti, in ogni lingua e formato, per poi distribuirli secondo le logiche più efficienti.

prodotti commerciali

Questo è il nostro interlocutore oggi. E lui chi si trova dinanzi? Quale giornalista, quale sindacato, quale sistema culturale? 

Elon Musk, che finanzia il progetto ChatGPT, ha già messo in campo prodotti commerciali come appunto GPT2 e GPT3, che fino ad ora erano solo automatizzazioni della scrittura. Con l’acquisto di Twitter, ci dice che può ampliare all’infinito le abilità del suo algoritmo, rendendolo padrone di tutte le notizie e declinazioni dei contenuti che i 250 milioni di utenti dell’uccellino riversano sulla piattaforma. Come rispondiamo noi? Ci sono tre livelli che mi piacerebbe che fossero discussi dal Congresso del mio sindacato:

  1. Il legismo, quel fenomeno che affida a norme legislative la possibilità di dare forma al mondo. Nel nostro caso la legge è solo un presupposto, un momentaneo vincolo pubblico che costringe i proprietari di questi dispositivi intelligenti ad assicurare alcune prerogative agli utenti, fra cui la trasparenza dei sistemi di calcolo, il tracciamento reciproco dei dati, e la negoziabilità dei fini del sistema. L’Europa ha appena approvato alcuni provvedimenti con il DSA (Digital Service Act) e il DMA (Digital Market Act che fissa paletti importanti. Non reggeranno per molto, data la velocità di evoluzioni dell’intelligenza artificiale, ma devono essere usati e sostenuti: Il Congresso potrà impegnare i giornalisti su una carta applicativa per l’informazione di queste due norme?
  2. Accordi nazionali: i governi devono definire gli ambiti di una sovranità democratica sull’informazione che costringa le grandi piattaforme a rendere i loro sistemi condivisi e riprogrammabili da parte dei soggetti pubblici, dalle amministrazioni locali, alle università, alle categorie come giornalisti, medici e giuristi. Il congresso chiederà al governo un tavolo che costringa anche le Autority interessate (Agcom, Antitrust e Privacy) a rendere permanente un osservatorio della trasparenza del mercato informativo, anche in nome di una sicurezza nazionale sempre più minacciata dalle forme di guerra ibrida che usano gli algoritmi per inquinare il sistema comunicativo di un intero paese?
  3. Il negoziato diretto. Dispositivi come ChatGPT, ma anche i suoi progenitori come i sistemi di pubblicazione automatica che sono ora adottati dalle grandi agenzie internazionali o dalle sezioni digitali di molti quotidiani, possono essere riprogrammati e ripensati. Proprio nei giorni in cui Pierguido Iezzi ha dimostrato come si possa guardare nella pancia di ChatGPT individuando le matrici etiche del suo funzionamento, quello che Iezzi ha definito il bene e il male, Dr Jekyll e Mister Hyde. Il congresso elaborerà una prima parte del contratto che chiederà ai gruppi editoriali di rinegoziare gli automatismi e di convergere su una carta etica dell’automatizzazione?

Questo mi piacerebbe. È troppo?

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