Il 6 dicembre 2020, due anni e undici giorni prima di morire, Mario Sconcerti scrisse due pagine su La lettura del Corriere della Sera. Tema: com’è cambiato ili giornalismo sportivo negli ultimi cinquant’anni. E anche su com’è cambiato il giornalismo in generale. E com’è cambiato il mondo.

Il titolo era: “Giornalismo, da Brera a Internet: cos’è diventato il mestiere di chi scrive di calcio”. Sconcerti raccontava il potere delle firme illustri, i giornalisti che salivano in macchina con Mazzola o con Rivera, i rapporti fra stampa e protagonisti, che a un certo punto si sono interrotti. La scomparsa delle notizie e la prevalenza delle opinioni.

Tanto per cominciare, le firme che facevano il bello e il brutto tempo.

trasferta a pisa

“Ogni città aveva la sua firma potente -scrive Sconcerti- Contava più del presidente, molto più dell’allenatore. Le società, prima di prendere un tecnico nuovo si consultavano con loro. E se loro dicevano di no, non lo prendevano. La stessa cosa facevano quando era il tempo di cacciarli. Un uomo solo, due al massimo, rappresentavano un mondo. Un giorno a Firenze, molti anni fa, il mio capo mi chiese se volevo andare con lui a Pisa a prendere Pesaola che rientrava da Napoli. Dissi di sì e chiesi perché non potevamo aspettarlo a Firenze. Lui mi disse che dal commento di Giordano Goggioli su La Nazione, aveva capito che Pesaola sarebbe stato cacciato. Arrivammo appena in tempo a Pisa per fare l’ultima intervista a Pesaola da allenatore della Fiorentina. Goggioli aveva deciso… L’informazione di oggi è lontanissima da quella forza perché i mezzi per comunicarla sono ormai infiniti”.

Poi, i giocatori che facevano Natale con i giornalisti. 

sotto l’albero di natale

“Oggi è cambiato il modo di frequentarsi tra giornalisti e giocatori. Fino a poco prima del Duemila erano pochi quelli che venivano mandati al seguito della squadra di città perché pochi erano i mezzi di comunicazione. E comunque viaggiare già costava. Il cronista, di solito un uomo giovane, con pochi anni in più dei giocatori, si muoveva con il gruppo, era sempre con loro. Era lì che prendevi confidenza, nelle sale di attesa, nei voli charter, aspettando qualcuno in un angolo fuori dallo spogliatoio perché capivi che aveva qualcosa da dire. Davi e prendevi, era un giro completo. Era il gioco dei mestieri. Ma tutti sapevano che non poteva esserci un gruppo completo senza quei tre-quattro cronisti fissi che facevano parlare la squadra con la propria realtà. Ricordo tante feste di Natale, tante vigilie di Pasqua in giro con le squadre, e sotto un albero di luci tutti insieme a brindare. E poi a giocare a sette e mezzo fino a tardi come soldati in trincea”.

Lo scambio di notizie e il ricatto sulle pagelle.

l’innaffiatoio di burnich

“Tante volte uscendo da Appiano o Milanello mi davano uno strappo in città proprio Mazzola o Rivera. Una volta, non so più perché, fui io a riportare Burgnich a Milano da Verona con la mia Mini che riscaldava subito l’acqua e dovevamo fermarci a tutti i benzinai per rimetterla. Burgnich con l’innaffiatoio in mano e io che controllavo il livello. Erano rapporti reali, che durano ancora cinquant’anni dopo. Non c’erano scambi di informazioni segrete, ma punti di vista su un mondo comune. Nessun giocatore ti dava davvero una notizia, ma tutti te ne soffiavano mezza. E tu, alla fine del vento, avevi in mano la realtà. Se poi tardava, arrivavi al ricatto. Prendevi di mira il più debole, il più stressato, e cominciavi a dargli brutti voti in pagella. Quello veniva a protestare e tu gli dicevi che sì, il voto era ingiusto, ma nemmeno lui diceva il vero. Il compromesso era la notizia”. 

Il controllo delle società.

ingombrante controllo

“Oggi le notizie sono quasi scomparse. O meglio, sono nella stragrande maggioranza guidate dalle società. Questo porta a un controllo molto ingombrante dell’informazione. Se volete parlare con Pioli o Conte, con un allenatore in genere, dovete prima chiedere alla società, mettervi in fila e sentirvi dire che in questo momento è meglio di no, ci sono troppe partite. E quando mai otterrete l’intervista, vi troverete nella stanza non solo Conte ma anche il direttore della comunicazione, vero ufficiale politico della nuova informazione calcistica. Il quale controlla il suo stesso allenatore, che dica cose conformi all’ortodossia della società. E controlla che il giornalista le riporti in modo poco sovversivo.
Questo piacere del controllo ha cancellato qualunque rapporto. Nessuno parla più con nessuno. Un giocatore a turno parla ogni giorno in conferenza stampa, davanti a tutti e con l’ufficiale politico accanto. Quindi solo frasi di routine. L’allenatore parla solo prima e dopo le partite. E solo perché credo sia ancora previsto dai contratti televisivi.
Herrera e Rocco alla fine di ogni allenamento uscivano dallo spogliatoio, tutti i giorni, guardavano i cronisti negli occhi, li volevano belli attenti, poi dicevano, “vediamo oggi che titolo vi regalo”. Cioè controllavano loro l’informazione ma dandoti notizie. Ti evitavano di andarle a cercare, di pensare ad altro. Internet ha funzionato da grande normalizzazione. Si sono moltiplicati i siti di una singola squadra, quindi le iscrizioni nelle tribune stampa, gli accreditati a fare una domanda al tecnico dopo la partita”.

cento giorni di ricerca

“Faccio un esempio recente, ma sono veramente tanti. La Roma ha cercato negli ultimi tre mesi il suo nuovo responsabile dell’area tecnica, l’uomo degli acquisti e delle idee, una figura di vertice, molto importante. Nessuno ha mai mostrato di saperne qualcosa. La notizia più attesa dall’arrivo dei Friedkin ha colto tutti di sorpresa. È stata la Roma, dopo cento giorni di ricerca, decine di viaggi e incontri, quindi altre decine di testimoni eventuali, a comunicare la scelta di Tiago Pinto colpendo tutti al petto. Il mio vecchio direttore Tosatti non lo avrebbe mai permesso, avrebbe gridato come un’aquila ferita finché non gli avessero portato un colpevole”. 

socialismo del mestiere

“Senza notizie, l’enorme informazione al tempo del web ha finito per organizzarsi. Non essendo disponibile la struttura, cioè l’evento, il campo, il calcio del presente, si è andati alla ricerca di una specie di oltre-struttura. Si cercano i pareri di chi non gioca più. Prendo la loro esperienza come fosse un presente continuamente simulato… L’arrivo degli ex calciatori… ha facilitato una conseguenza ulteriore: oggi la comunicazione è soprattutto talk show dove si scambiano le opinioni per notizie… Si discute sulle nostre opinioni a proposito di informazioni che non possiamo dare per reali. Ci si accapiglia su questo, cioè su noi stessi. E i siti fanno rimbalzare dovunque i flash del pensiero comune che porta a una realtà compromessa. Questo sembra il massimo che nel 2020 ha saputo portare l’ingresso di Internet nel nostro calcio: scambiarsi informazioni già pubblicate. Uno straordinario socialismo del mestiere dove l’importante non è avere prima una notizia arricchendo il lavoro, ma entrare nel corteo di chi, attraverso la notizia di tutti, comunque esiste, comunque vive. Meglio avere uno sgabuzzino tutti che una casa vera qualcuno. Ma il mestiere del giornalista di calcio oggi è questo? Brera scuoterebbe il capo e si accenderebbe un Avana”.

(nella foto, Mario Sconcerti)

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