di MICHELE MEZZA
L’Intervista al pontefice, realizzata da Fabio Fazio non solo è stato un vero evento mediatico, ma ha posto nodi centrali per l’attività giornalistica.
Intanto per il contesto in cui si è realizzata quell’intervista. Una trasmissione di rete e non una testata. Certo, ormai da anni, da molti anni, questa distinzione suona come una pedanteria burocratica. In realtà proprio le esibizioni del conduttore di “Che tempo che fa” ci costringono a tornare sul tema.
Pensiamo alle numerose e metodiche interviste che sono andate in onda in questi mesi di pandemia a virologi e responsabili del sistema sanitario. Stiamo parlando di informazioni sensibili, su un tema che riguardava la sicurezza dell’intera popolazione. Con quale criterio di tempestività si è deciso di invitare un esperto piuttosto che l’altro? Con quale criterio di pertinenza si è conseguentemente affrontato un tema piuttosto che l’altro? E a quali regole di completezza e trasparenza professionali si poteva richiamare il nostro conduttore nella gestione di argomenti cosi vitali e delicati, se non la sua sensibilità individuale?
palcoscenico pubblico
L’endemizzazione del virus, con la cronicizzazione di fasi di possibile ulteriore drammaticità, ci impone di riflettere per il futuro su come maneggiare informazioni, commenti e approfondimenti in tema di sanità pubblica, tanto più da un palcoscenico di servizio pubblico.
In molti casi il tradizionale garbo con cui si comporta in scena Fazio, che mette sempre ogni interlocutore su ogni argomento a suo agio, eliminando ogni attrito che potrebbe nascere da domande a volte meno gradite, funziona per lo spettacolo, incentivando la presenza di personaggi popolari e suggestivi, sicuramente aiuta meno su temi di stretta e bruciante attualità, quale appunto una pandemia, in cui ogni esperto deve essere costretto a dire a volte più di quello che vuole dire e nel modo più esplicito.
Non sempre è venuta questa assicurazione da quella trasmissione, in cui scienziati e responsabili delle strategie sanitarie venivano solitamente celebrati, più che sollecitati a rispondere a quesiti che dovevano in qualche modo rispecchiare le domande della gente.
privilegi anacronistici
Non si tratta di rivendicare un privilegio corporativo.
Siamo ormai in un tempo e in circostanze in cui la categoria giornalistica non ha certo ne l’ambizione e tanto meno la possibilità di asserragliarsi in privilegi di un tempo anacronistico. Si tratta di ragionare sulle garanzie e le pretese di trasparenza e responsabilità che il sistema mediatico comunque induce e che ormai vengono genericamente attribuite a chiunque si affacci alla ribalta. Non è così. Fazio , come molti suoi colleghi, tende a tradurre la sua credibilità in audience prima che in informazione.
E questo rende negoziabile con i suoi interlocutori ogni contenuto pur di assicurarsene la presenza. Niente di male, basta saperlo.
Così come devo sapere se in rete mi trovo investito da contenuti che vengono da bot, altrettanto devo avere la consapevolezza di quali meccanismi guidino le trasmissioni che vedo. Se si tratta di produzione giornalistica, ho la possibilità di richiamare, qualsiasi cosa venga detta, la deontologia professionale e rivendicare eventuali interventi nei confronti di chi dovesse approfittare del suo ruolo di trasmettitore. Se invece si tratta di una trasmissione di rete devo sapere che i meccanismi sono altri, e devo poter considerare nella valutazione di quanto sto ascoltando anche il gioco di complicità che può intervenire, ad esempio, in conversazioni che hanno anche la forma di interviste giornalistiche, ma sono solo dialoghi di un copione organizzato con altri criteri, rispetto al corredo etico professionale di una redazione.
il lettore e il direttore
Abbiamo ormai alle spalle 50 anni di antropologia digitale, che hanno selezionato attitudini e capacità avanzate nella vasta platea degli utenti dei media. Basta vedere cosa accade quando in un sito di una testata appaiono argomenti, trattamenti o documenti, come fotografie, non condivisi: si scatena l’inferno.
Come scriveva Benjamin nel suo celeberrimo saggio su L’opera d’arte nell’epoca delle riproducibilità tecnica, “il lettore si siederà accanto al direttore”, commentando nel lontano 1936 le prime rubriche di lettere al direttore pubblicate dai grandi quotidiani. Ora siamo all’epilogo di quel viaggio. Le regole del gioco non sono più riservate ai sacerdoti dell’informazione. Questo sì è un privilegio corporativo del tutto rimosso.
L’informazione è un unico flusso che procede per integrazioni e correzioni progressive da parte di tutti i lettori. La pagina non è più chiusa, o la trasmissione conclusa, nel momento in cui gli autori la licenziano. Siamo solo all’inizio di un processo destinato a rimanere permanentemente in corsa.
valutare in velocita”
In questo quadro sapere con quali regole si sono confezionati programmi e informazioni diventa essenziale per poterli valutare in velocità.
E infatti la trasmissione di Fazio è risultata palesemente difforme a regole di base, a cominciare dall’unita di tempo e di spazio: era una diretta o no? E se non lo era perché non è stato detto subito? Non è un’alterazione del flusso di informazioni giocare con queste dimensioni spazio temporali? E cosi i contenuti: un conduttore può rimanere in un terreno di condivisione delle domande, un giornalista, come sappiamo no. Il che non vuol dire che non avvenga. Ma quando avviene il responsabile sa che sta mettendo a repentaglio la propria identità professionale. Identità che non sarebbe in alcun modo ritemprata da un eventuale record di audience.
Sarebbe tempo di ripristinare alcuni principi di base, sapendo che proprio perché tutto sta cambiando, bisogna avere l’abilità di trasferire nel nuovo mondo quello che di buono ancora regge dello scenario precedente. E’ l’unico modo per sperare di dare un futuro a questo mestiere, senza inchiodarlo a forme o modalità del tutto inadeguati. Come scriveva con grande cinismo e sfrontatezza la redazione di Vice, celebrando uno dei suoi tanti successi virali: se la gente chiede a noi le notizie vuol dire che le notizie non stanno tanto bene. E neanche i giornalisti.