di SOFIA GADICI

Lei, Maria Ressa, è cofondatrice del sito di informazione Rappler. Lui, Dmitry Muratov, è caporedattore del quotidiano Novaya Gazeta. I due giornalisti che hanno vinto il premio Nobel per la pace hanno in comune il coraggio di lavorare in paesi dove la libertà di stampa non è garantita e dove morire in quanto giornalista non è raro. Entrambi continuano a fare informazione, malgrado le denunce, gli arresti, le minacce. Per il Norwegian Nobel Committee i due cronisti meritano il premio in virtù dei “loro sforzi per salvaguardare la libertà di espressione, che è una precondizione per la democrazia e una pace duratura”.

Maria Ressa è filippina, naturalizzata statunitense. Il suo sito è noto per le inchieste sull’operato del governo del presidente della Filippine Rodrigo Duterte, soprattutto in relazione alla sua sanguinosa “guerra alla droga”. Per la sua attività il presidente Duterte l’ha definita “una criminale”. Negli anni ha ricevuto oltre dieci mandati di cattura. È stata condannata dalle corti filippine per reati che vanno dalla diffamazione a mezzo stampa online alla violazione delle norme costituzionali sulla proprietà straniera degli organi d’informazione.

manila e jakarta

Nel luglio 2020, quattrocentoventiquattro laureati, insegnanti e membri dello staff dell’Università statunitense di Princeton (dove Ressa si è laureata) hanno pubblicato un testo sul Washington Post a sostegno della giornalista, ex corrispondente della Cnn e capo della redazione di Manila e Jakarta. Nella lettera si chiedeva al governo degli Stati Uniti di “usare la sua influenza” per convincere il governo filippino a far cadere tutte le accuse contro Ressa, il suo collega Reynaldo Santos Jr. e la rete di notizie online Rappler.

Dmitrij Muratov è, invece, il caporedattore di quello che viene definito uno dei “soli giornali veramente critici con influenza nazionale in Russia oggi”. La storia di Novaja Gazeta è legata a quella di un altro premio Nobel. L’ex presidente sovietico Mikhail Gorbaciov donò parte del suo premio Nobel per la pace, vinto nel 1990, al giornale per finanziare gli stipendi dei dipendenti (che fino ad allora erano stati solo dei volontari) e per comprare dei computer.

un lungo elenco

Muratov ha dedicato il Premio appena vinto al suo giornale e soprattutto ai giornalisti della testata che negli anni sono stati uccisi. “Vi dirò questo – ha affermato – non è merito mio. È di Novaja Gazeta e di quelli che sono morti difendendo il diritto delle persone alla libertà di parola. Siccome loro non sono con noi, probabilmente hanno deciso che sia io a doverlo dire a tutti”. I giornalisti di Novaja Gazeta uccisi sono: Igor Domnikov (ucciso nel 2000), Yuri Shchekochikhin (2003), Anna Politkovskaya (2006), Anastasia Baburova (morta nel 2009 insieme all’avvocato russo per i diritti umani Stanislav Markelov), Natalia Estemirova (2009). Nella motivazione dell’assegnazione del Nobel si legge: “Per decenni Muratov ha difeso la libertà di espressione in Russia in condizioni sempre più difficili”.
I paesi dove le condizioni sono altrettanto difficili sono molte nel mondo. Il barometro del 2021, tenuto da Reporters sans frontières sulla libertà di stampa, conta, in questi primi nove mesi dell’anno, 24 giornalisti uccisi. Tre in India e in Messico, due in Afghanistan, Azerbaigian, Bangladesh, Burkina Faso e Palestina, uno in Georgia, Grecia, Libano, Paesi Bassi, Filippine, Repubblica democratica del Congo, Somalia e Siria. Nel 2020 sono stati 49, il numero più alto (8) in Messico. L’anno prima 40. Nel 2021 sono già 350 giornalisti arrestati e che ora si trovano in galera, il numero più alto (53) è in Birmania.
(nella foto, Maria Ressa e Dmitrij Muratov)

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