di DANIELE CURCI

In Bretagna, regione del nord-ovest della Francia, fare giornalismo d’inchiesta nel settore agroalimentare può essere rischioso. 

A testimoniarlo sono i casi di due giornaliste: Morgan Large e Inès Léraud. Entrambe, a seguito delle loro inchieste sull’inquinamento generato dalla filiera agroalimentare e dai suoi intrecci con la politica, hanno ricevuto minacce, insulti e accuse di diffamazione, fino al sabotaggio della macchina di Large. 

In Francia l’agroalimentare è il primo settore industriale, con un giro di affari dal valore di 198 miliardi di euro. La Bretagna è la regione più rilevante per la filiera, con un fatturato di 20,2 miliardi.  “In Francia e in Bretagna c’è un enorme disequilibrio che favorisce il settore agroalimentare, anche perché i produttori hanno i propri media. Solo l’industria del nucleare regge il confronto”, spiega Léraud. Che aggiunge: “In Francia sono pochi i giornalisti che si occupano del settore agroalimentare. Anche i grandi giornali come Le Monde e Libération non hanno giornalisti specializzati in questo settore”.

freelance vulnerabili

I pochi professionisti che si occupano di agroalimentare sono quindi di solito freelance vulnerabili. Spiega Large: “E’ difficile che vengano fatte delle inchieste. I media sono finanziati dalle lobby dell’agroalimentare con la pubblicità. Ma anche con le sovvenzioni regionali, con il denaro pubblico, che viene usato come strumento di pressione politica e di pratica clientelare”. Anche Pavol Szalai, responsabile dell’ufficio Europa/Balcani di Reporter Senza Frontiere, conferma che “i giornalisti che si occupano di agroalimentare devono affrontare minacce crescenti. I casi di Large e Léraud sono molto gravi. Léraud ha ricevuto delle denuncie per diffamazione. Si tratta di forme di pressione, giudiziarie e finanziarie, che vorrebbero distruggerla psicologicamente. Lo stesso dicasi per Morgan Large”. 

Giornalista della radio Kreizh Breizh (RKB), radio associativa bretone bilingue (bretone e francese), Morgan Large si occupa da molti anni del settore agroalimentare della Bretagna, con inchieste sulle sovvenzioni accordate all’industria agroalimentare nella sua regione. Nel 2018 le prime pressioni: in seguito alla denuncia delle collusioni tra gli industriali e gli agricoltori locali, Radio Kreizh Breizh ha perso le sovvenzioni municipali.

terra sacrificata

Ma “gli insulti e le minacce – dice Large – sono cominciate nel 2020 con la diffusione su France 5 del documentario ‘Bretagne, une terre sacrifiée’ (Bretagna, una terra sacrificata) visto da un milione di telespettatori”. Il documentario analizza le conseguenza deleterie sull’ambiente causate dall’agricoltura intensiva. “Il mio viso è apparso nei profili Twitter dei sindacati regionali: sostenevano che il documentario fosse una finzione”. Dalle ingiurie si è passati alle minacce con delle telefonate anonime, passando poi ad atti concreti: l’apertura del recinto dei cavalli della fattoria di Large, le porte di RKB forzate, l’avvelenamento del cane, fortunatamente sopravvissuto. Fino all’atto più grave. Il 31 marzo Large, mentre sta per montare in auto, si rende conto che i bulloni che fissavano una delle ruote posteriori della sua vettura sono stati manomessi. In seguito all’episodio Reporter Senza Frontiere ha chiesto protezione allo Stato per Large, aiutandola a sporgere denuncia verso ignoti. Ciononostante “lo Stato non mi ha assegnato una scorta. La regione Bretagna non ha preso posizione in mia difesa”. 

Inès Léraud si è trasferita in Bretagna nel 2015: “Lavoravo per Radio France con reportage e inchieste. I problemi sono iniziati quando ho cominciato a fare inchieste locali, sulle aziende che producono pesticidi o sulle grandi cooperative agricole come Triskalia. Questi soggetti vogliono mantenere il silenzio ed evitare le critiche”. Per farlo, spiega Léraud, le lobby agricole instaurano legami con la politica: “Alcuni membri di queste industrie sono alla testa dei consigli municipali e degli organismi politici locali. Donano con le sovvenzioni denaro a diverse associazioni. Pertanto molti hanno paura a criticare perché farlo può significare perdere i finanziamenti”. 

invito disdetto

A giugno del 2019 Léraud pubblica i risultati delle sue inchieste sul fenomeno delle alghe verdi, delle alghe che rilasciano gas tossici e la cui presenza massiccia nelle spiagge bretoni è dovuta agli allevamenti intensivi. Per la pubblicazione sceglie una forma insolita ma che giudica eccezionale: il fumetto. La Camera dell’agricoltura della Costa Armorica è gestita dall’FNSEA, uno dei sindacati agricoli maggiori. Uno degli impiegati della Camera è anche rappresentante al Comune di Quintin dove a marzo del 2020 si è tenuto un salone del libro in cui era invitata Leraud. In seguito alle pressioni dell’eletto, l’invito è stato però disdetto. Negli stessi giorni una casa editrice che avrebbe dovuto pubblicare l’edizione in lingua bretone del fumetto ha sospeso la collaborazione, per il timore di perdere i finanziamenti regionali. Qualche mese più tardi Christian Buson – personaggio centrale nell’agroalimentare bretone e direttore di GES, un centro di studio sull’ambiente, e dell’Istituto tecnico – scientifico dell’ambiente, finanziato da aziende come Lactalis e Daucy –  ha denunciato Léraud per diffamazione. È dal 2017 che Buson attacca la giornalista per le sue inchieste sulle alghe verdi. Il 7 gennaio 2020 Buson, pochi giorni prima dell’udienza, ritira la denuncia. Pochi mesi dopo Jean Chéritel, amministratore delegato del gruppo Chéritel che si occupa di frutta e legumi, presenta una denuncia per diffamazione nei confronti di Léraud in seguito alla diffusione della sua inchiesta su Chéritel, pubblicata su Bastamag nel 2019. 

I casi di Large e Léraud non sono isolati. Come sottolinea una giornalista anonima interpellata da Reporterre, quotidiano dedicato all’ambiente: “Quando qualcuno non è soddisfatto di un articolo si spiega. Se è necessario esiste il diritto di replica. Ma minacciare di intentare una causa è una cosa violenta. E’ un meccanismo di deterrenza che funziona molto bene. È intimidazione”.

(nella foto -da Le Télégramme- Inès Léraud)

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