di VITTORIO ROIDI

Un successo o una sconfitta? Il fatto che un altro giornalista del Corriere della Sera abbia abbandonato il giornale e scelto di andare a fare il portavoce di un ministro, come dobbiamo valutarlo? Il direttore, forse l’editore, devono essere contenti perché si può considerare la notizia come la prova dell’alta professionalità della redazione? O piuttosto devono dolersi che un altro ottimo collega preferisca fare altre esperienze?

Il giornalismo perde, non può esserci dubbio. Forse i colleghi che lasciano le redazioni lo decidono per la curiosità di andare a vedere cosa c’è al di là del fiume. Forse Lorenzo Salvia, firma del Corriere, considera un arricchimento andare ad affiancare il ministro dell’Economia. Può darsi. Viene comunque da pensare che una simile scelta (magari temporanea visto che quasi sempre i giornali concedono l’aspettativa) sia il segno di una passione che si è attenuata. Come se fosse diminuita la voglia di offrire la verità ai cittadini, che è la molla che spinge molti a intraprendere una simile professione.

dall’altra parte

In più, c’è una seconda, inevitabile, considerazione, perché è evidente che il giornalista passa dall’altra parte, va a collaborare con un’istituzione (presidente del Consiglio, ministro, sindaco o altro) che proprio a lui spetterebbe controllare. E’ la questione etica, più delicata della prima e che non può essere messa da parte considerato che per questi professionisti – a differenza di quanto avviene in molti altre nazioni – in Italia abbiamo un Ordine, al quale compete fissare gli obbiettivi e le regole di comportamento. “Libertà e verità”, dice la legge, sono i doveri principali del giornalista (che non sono imposti, ad esempio, all’avvocato, al medico, all’ingegnere). Li può rispettare il giornalista che passa a fare il portavoce? A questa figura, pure prevista dal legislatore, viene chiesto di collaborare con il titolare di una precisa funzione pubblica. Incarico che può essere svolto da un giornalista professionista che ha il “dovere di verità”. Riuscirà a rispettarlo se deve mantenere contemporaneamente il legame di fiducia con un amministratore, che è di solito un uomo politico e ha sicuramente l’obbiettivo – proprio attraverso la comunicazione e l’informazione – di valorizzare il proprio lavoro e di guadagnare consensi e magari voti veri e propri? Qualche dubbio viene, pur conoscendo la professionalità e la serietà di questi colleghi.

impegno solenne

Nel 1993, nel pieno della tempesta di Tangentopoli, l’Ordine nazionale dei giornalisti e la Federazione della stampa approvarono un documento, che chiamarono la “Carta dei doveri”, nella quale fra l’altro venne scritto: “La responsabilità del giornalista verso i cittadini prevale sempre nei confronti di qualsiasi altra. Il giornalista non può subordinarla ad interessi di altri e particolarmente a quelli dell’editore, del governo o ai altri organismi dello stato”. Fu un impegno solenne, firmato per contrastare il disegno di gruppi politici che avevano progettato, con disegni di legge presentati alle Camere, di imbavagliare la categoria in uno dei momenti più drammatici della storia del paese. Questa norma etica è stata abbandonata?

I paesi anglosassoni assegnano al giornalista il ruolo del cane da guardia, in primo luogo nei confronti dei detentori del potere. E’ così anche in Italia? Un noto collega a cui l’ho chiesto in questi giorni, mi ha risposto ironico: “Noi siamo cani da salotto!”. Al di là della battuta, offensiva nei confronti delle migliaia di giornalisti che a fare i controllori del potere ci provano ogni giorno, il dubbio a proposito della figura del portavoce resta. 

Fra qualche mese, dopo tanti rinvii, dovrebbero svolgersi le elezioni per il rinnovo dei dirigenti del nostro Ordine. Allora, “Professione reporter” propone che sul tavolo del prossimo Consiglio nazionale, massimo organo della categoria, siano posti due quesiti: 1) C’è compatibilità fra la professione e la funzione di portavoce? 2) Prima di accettare questo incarico, il giornalista ottiene che venga sospeso il contratto con l’azienda dalla quale dipendeva, ma intende che sia sospeso anche l’impegno che aveva assunto verso i cittadini?

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