di ALBERTO FERRIGOLO

“Informazione modello Fca”. Potrebbe chiamarsi anche così il documento “Valori e missione editoriale” inviato da Gedi ai giornalisti del Gruppo Repubblica-Stampa e quotidiani locali annessi lo scorso 9 dicembre. Un sicuro codice di comportamento interno, ma anche una filosofia di giornalismo, basato su un mix di “news room”, digitalizzazione spinta, smart working, centralizzazione del processo produttivo, verticalizzazione estrema delle decisioni da parte di una ristretta cerchia di comando, tra algoritmi e marketing editoriale che fanno un po’ da padroni. Si chiamano anche “le nuove sfide del giornalismo”, che si sono vieppiù accentuate e accelerate a partire dallo scorso febbraio-marzo con l’inizio della pandemia da Covid-19, ma che invece si possono tranquillamente attribuire alla nascita e allo sviluppo dei social network e dai dispositivi mobile nelle diete mediatiche dei lettori. Ciò che ha messo in crisi il giornalismo tradizionale nei suoi meccanismi produttivi e diffusionali.

A darci una perfetta rappresentazione delle tendenze e di cosa ci riserva in futuro il giornalismo, il suo mondo e la sua professione, è la ricerca “I nuovi percorsi della notizia” curata dal Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università degli Studi di Napoli Federico II per conto dell’Ordine dei giornalisti, che è scaricabile gratuitamente.

È una precisa mappatura del giornalismo, dei giornali e dei giornalisti nell’era – tutti insieme – della loro riproducibilità tecnica”, come analizzato da Walter Benjamin per l’opera d’arte. In cui il “Social media manager” è la figura centrale e strategica e che, insieme al “Seo specialist” si occupa del “Search engine optimization”, ovvero dell’analisi dei volumi di ricerca online per valutare “l’andamento degli articoli sui social media, i feedback degli utenti e le reazioni della community”, per un giornalismo profilato e a misura del consumatore. Nuove specializzazioni professionali che, come racconta Francesco Piccinini, direttore della testata online Fanpage, sono utili a monitorare i dati dei video, ad esempio “su Facebook ogni 3 secondi, su Instagram ogni secondo e mezzo e su YouTube ogni sette secondi”. Per selezionarli, rilanciarli, ridurli a notizia breve o lunga che sia. Perché da lì, ormai, arrivano notizie, fatti, spunti, tendenze e controtendenze. Emittenti che hanno allargato a dismisura il fronte delle fonti di notizia e reso di fatto marginali i giornali di carta. Cioè ciò che va per la maggiore sui siti dei nostri quotidiani. 

E per il momento, ma non durerà molto, in Italia – avverte Federico Sattanino, consulente di Echobox, società che sviluppa tecnologie basate sull’intelligenza artificiale che “aiutano gli editori online nella loro strategia digitale” – “l’articolo è scritto ancora dal giornalista, non c’è scrittura automatica, questa cosa da noi non l’ho mai vista”, ma “all’estero, invece, esiste la scrittura automatica degli articoli” tanto che “ci sono giornali che usano l’intelligenza artificiale in redazione, al posto dei giornalisti”. Ovvero, testate che “utilizzano strumenti che generano automaticamente articoli”. 

Non siamo né in un film della serie “Ai confini della realtà” né su “Scherzi a parte”, ma nel bel mezzo del futuro che ci si prospetta per la produzione di “pagine automatizzate”. E per il momento “in maniera ibrida”, il che significa “gestite da redattori in orario d’ufficio” e “automatizzate nelle ore serali-notturne o nei weekend”, ma  domani? È questa la nuova nuove frontiera del giornalismo? Ovvero, giornalismo senza giornalisti, ma con più ingegneri, data-analyst, progettisti, grafici, architetti, design, tutte nuove figure professionali legate alla “prototipazione e committenza dei sistemi intelligenze”? 

Il Covid ha poi messo in evidenza che per quanto riguarda “la fruizione delle notizie, mentre la carta stampata ha subito un colpo d’arresto, la maggior parte delle testate hanno rilevato un forte incremento del traffico online in tutto il mondo”. Ma “il paradosso di questa pandemia – si legge nella ricerca della Federico II – è infatti che la crescita del numero di lettori non corrisponde a un maggiore guadagno a livello pubblicitario”, in primis “per il crollo delle vendite della carta stampata, che ad esempio nel Regno Unito ha diminuito le sue vendite circa del 30%, ma crolli simili si possono ritrovare in tutto il mondo”; secondo, come certifica anche un sondaggio condotto da Splice, startup che si occupa di monitorare le media company in Asia, “il 40% delle 59 testate intervistate ha dichiarato che probabilmente dovrà tagliare posti di lavoro nei prossimi sei mesi”.

La reazione dei Comitati di redazione al piano Fca-Gedi, oltre ad essere arrivata a distanza di 48 ore appare soft, un po’ spiazzata e piuttosto di principio mentre il cambiamento avanza veloce e anche un po’ cingolato. Il documento Gedi non sembra lasciare molti spazi di contrattazione. Elkann ha più volte annunciato la necessità di rimettere mano al contratto e il documento Gedi lo conferma. Il sindacato, anche quello nazionale, per ora è apparso silente e scarsamente reattivo. La ricerca, però, val la pena di leggerla.

 

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