Bernardo Valli, definito da Repubblica cinque mesi fa, “il più grande reporter di guerra italiano della seconda metà del Novecento”, lascia Repubblica.

Il 15 aprile ha compiuto 90 anni.

Dalla sua casa parigina di rue Chaptal, nono arrondissement (dove vissero Baudelaire e Zola), ha scritto una lettera secca al direttore Maurizio Molinari. Per dire addio.

Nella lettera non lo spiega chiaramente, da gentiluomo. Ma il nuovo corso di Repubblica, con la proprietà della Gedi di John Elkann e la direzione Molinari, non lo convince. Valli è un esperto eccezionale di tutti i luoghi di crisi del mondo e qui c’è un nodo particolare, che riguarda il Medio Oriente. Molinari guarda con benevolenza al governo israeliano, Valli ne ha descritto più volte -nei decenni- errori, debolezze, cadute e anche successi. Da cronista, sempre legato strettamente ai fatti. Con la sua lingua chiara e avvolgente. Il punto di rottura anche se non dichiarato ufficialmente è questo. Molinari inoltre ha promosso collaboratrice corrispondente da Gerusalmemme Sharon Nizza, ex candidata del Pdl alla Camera dei deputati e prima collaboratrice in Parlamento di Fiamma Nirenstein, anche lei molto vicina al governo Netanyahu.

pezzo da modificare

A maggio, sul suo profilo social, Leonardo Coen, già firma di Repubblica, ha scritto: “Possibile che Scalfari non se ne renda conto? Gliel’avranno riferito che recentemente il direttore Molinari ha chiesto a Bernardo Valli di modificare qualcosa nel suo pezzo e che l’anziano ma ancora baldanzoso Bernardo ha minacciato di dimettersi?”.  Era un pezzo sul Medio Oriente. Dopo quell’episodio Valli scompare dalle pagine di Repubblica. 

Con la direzione Molinari, da Repubblica sono andati via Enrico Deaglio, Gad Lerner e Pino Corrias.

Nessuno di loro si può paragonare a Valli, presente a Repubblica quasi dalla fondazione, una monumento del giornalismo di battaglia, colto e preciso, documentato e capace di far comprendere la complicazione dei fatti. Di trovare un magico equilibrio tra racconto e spiegazione.

A dare per primo la notizia dell’addio di Valli a Repubblica è stato Matteo Bartocci del manifesto.

Molinari ha dato notizia della lettera di Valli nel corso della riunione di redazione del mattino del 15 settembre. Si è detto dispiaciuto: “Questo addio indebolisce il giornale. Farò di tutto per riportarlo qui”. Ha aggiunto che Valli, nella lettera, ha usato parole di amicizia nei confronti di Repubblica.

Valli nasce a Parma in una famiglia benestante: il padre è chirurgo, la madre crocerossina. Nel 1949, a diciannove anni, si arruola nella Legione straniera francese. Nel 1954 assiste, nella base di Sidi Bel Abbes, alla parata dei reduci dalla sconfitta diDien Bien Phu. Poco dopo, decide di lasciare la Legione.

Si trasferisce a Milano, dove fa il praticantato da giornalista al quotidiano L’Italia. Nel 1956 è al neonato Giorno, dove si occupa di cronaca nera. Dopo solo un anno passa dalla cronaca alla politica internazionale. E’ testimone della  rivoluzione algerina. Negli anni sessanta è presente a Cuba e racconta la Guerra dei Sei Giorni in Medio Oriente.

dilettante e professionista

Nel 1971 si trasferisce al Corriere della Sera, scrive dal Vietnam, dall’India, dalla Cina, dalla Cambogia. Nel 1975 rientra in Europa, come corrispondente da Parigi. Nel 1979 racconta la rivoluzione khomeinista in Iran.

A Repubblica, Valli arriva nel 1977, un anno dopo la fondazione. Lascia il Corriere per Scalfari. Va alla Stampa, poi torna a Repubblica, nel 1985. Con base a Parigi continua a seguire tutti i più grandi eventi di politica e di cronaca del mondo. Nel 1989 Scalfari gli propone di prendere il suo posto come direttore di Repubblica. Rifiuta: “Sarei stato più un compagno di lavoro che un comandante”. Poi, controvoglia, accetta, ma non se ne fa niente perché scoppia la “guerra di Segrate” per il controllo del giornale e Scalfari resta al suo posto. 

Nell’intervista al suo giornale per i 90 anni, ha detto: “Se dovessi fare una diagnosi sbrigativa, il mio lavoro è stato un miscuglio di dilettantismo e professionismo. I due aspetti si sono sempre incrociati. Raramente ho fatto dei servizi giornalistici senza conoscere le radici storiche profonde del Paese che raccontavo, ma allo stesso tempo mi sentivo libero dal peso della conoscenza”.

Tu -gli chiede Simonetta Fiori- incarni esemplarmente un tipo di giornalismo che non esiste più. E Valli: “È cambiato tutto. Oggi non è più la carta il veicolo dell’informazione e le comunicazioni sono rapidissime. La verità del momento non dura più 24 ore, ma un minuto. E non è più necessario andare nei posti: al giornalista non manca certo una grande quantità di documentazione – tra social media, film, libri – ma quel che gli manca è l’esperienza sul campo, il tatto, gli odori, i caratteri”. Ancora: “Non mi pento di non aver scritto un romanzo. Non dico che non mi sia venuta voglia e qualche volta l’ho anche cominciato. Ma nel giornalismo si è come soldati: quando non si marcia, ci si stende in branda e si dorme”.

Infine, come si difende il mestiere nel flusso informativo di oggi? “La regola rimane la stessa. Il buon giornalista è quello che sa scegliere le notizie, calibrarle, dare a ciascuna il peso che merita. Al centro resta la verità della notizia: avvicinarsi alla verità di ciò che accade, quello è buon giornalismo”.

In un’altra intervista, ad Antonio Gnoli, ha detto che il giornalismo è “la verità del momento”. E poi: “La cronaca è un lampo. Uno squarcio che si richiude. E tu sei lì, insignificante, a chiederti se stai facendo la storia. Ma la storia è un’altra cosa».

Pochi giorni fa un altro grande del giornalismo, Corrado Stajano, aveva lasciato il Corriere della Sera.

Professione Reporter

(nella foto, Giorgio Bocca, Sandro Viola e Bernardo Valli, nel 1986, alla festa per i dieci anni di Repubblica)

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