Per capire le intolleranze e per sconfiggere l’odio occorre sanare le antiche ferite e studiare il passato. E’ questa la conclusione del dibattito che si è svolto a Roma, alla Fondazione Murialdi, in occasione della riammissione all’Albo dei giornalisti espulsi da Mussolini. La presidente dell’Ordine del Lazio, Paola Spadari ha annunciato una delibera con cui i giornalisti ebrei espulsi dalla professione nel febbraio del 1940, in applicazione delle leggi razziali, verranno ora reinseriti negli Albi.

L’incontro è stato aperto dallo storico Enrico Serventi Longhi, che ha narrato nel dettaglio vicende che pochi conoscono. Nell’elenco dei trenta colleghi, tutti ormai deceduti, spiccano esponenti di primo piano della categoria accanto ad altri meno noti. Il regime concesse ad alcuni di continuare a lavorare – “per rafforzare l’idea di un giornalismo fascista”, ha spiegato Serventi Longhi – mentre altri furono licenziati e non trovarono più un’occupazione. Alberto Pincherle, pur di continuare a scrivere preferì scegliere lo pseudonimo di Moravia. Margherita Sarfatti decise di espatriare in Perù. Altri si dimisero prima di ricevere il provvedimento di espulsione. Nessuna eccezione fu fatta invece fra i pubblicisti.

Alla discussione sono intervenuti i rappresentanti della Comunità israelitica di Roma, Massimo Finzi e Silvia Haia Antonucci. Negli archivi storici della Comunità sono contenuti documenti preziosi sulla persecuzione dei giornalisti e degli esponenti di altre professioni. “Grazie al ricordo – ha detto Finzi, Assessore alla Memoria degli ebrei romani – potremo capire in che modo il fascismo attuò la sua repressione, ma anche quanti furono coloro che tentarono di resistere, a rischio della vita”.

Silvia Antonucci, responsabile degli archivi della Comunità, ha insistito sull’indifferenza con cui tanti italiani assistettero alla persecuzione degli ebrei. “Il regime non rimase al potere solo per la follia di quattro o cinque persone, ma a causa dell’inerzia e della paura di tante altre”.

“Dobbiamo elaborare una memoria – ha osservato Paola Spadari – che ci garantisca anticorpi con i quali difenderci dalla discriminazioni”. E’ stato annunciato che anche altri Ordini regionali percorreranno la stessa strada. Il presidente della Fondazione Murialdi, Vittorio Roidi, ha sottolineato che l’analisi dovrà continuare: “Il gesto di oggi non può servire solo a sanare una ferita. Sono proprio i giornalisti che possono aiutare a capire le ragioni dell’odio e delle discriminazioni, razziste e religiose, che oggi affiorano all’interno della società”.

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