(V.R.) Forse saranno sottoposti a procedimento disciplinare alcuni dei giornalisti che hanno raccontato la vicenda del bambino rintracciato in Siria e riportato in Italia. Non hanno scritto il falso. Al contrario, hanno raccontato troppi particolari.

Francesco era ormai disperso nei campi profughi. Era stato portato in Siria alcuni anni fa dalla madre che si era arruolata nell’Isis (lo chiameremo così per non dire il suo vero nome). Quando la madre è morta sotto un bombardamento il bambino, che ha un nome arabo e non ricorda neppure più la lingua italiana, è finito fra i profughi.

In Italia, dopo molto tempo, il padre ha lanciato l’allarme ed è riuscito a rintracciarlo grazie ad una affannosa ricerca condotta con l’ambasciata, i carabinieri e la Croce Rossa. Francesco è tornato in Italia ed ha riabbracciato il padre e sorelle. E’ salvo.

Mentre un aereo lo riportava in Italia il presidente dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Verna, ha ricordato ai giornalisti che il bambino andava protetto da un’eccessiva pubblicità. Ma molti non hanno ascoltato. Il suo nome, il paese dove vive, le ferite e i segni sul suo corpo grazie ai quali è stato rintracciato, sono stati narrati.

Era bella quella storia e si è andati troppo in là. Ora, purtroppo, Francesco avrà per tutta la vita stampata sulla fronte la sua disperata infanzia. Sarà un marchio da cui difficilmente riuscirà a liberarsi. Il bambino è stato strappato all’Isis, ma dovrà sopportare le conseguenze di una pericolosa popolarità.

La Carta di Treviso, una delle regole etiche più importanti del giornalismo, è stata violata. Andava protetto dalle luce, dai riflettori, dagli eccessi della comunicazione. Così non è stato. 

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