(F.M.) Le “risorse per il pluralismo” del Fondo per l’editoria sono state tagliate, ma resteranno invariate nei prossimi 4 anni per 140 testate su 160. “Queste aziende non avranno un euro in meno” ha garantito Vito Crimi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con la delega all’Editoria, parlando a una platea di giornalisti il 4 luglio scorso, in occasione dell’incontro a Roma sugli Stati generali del settore.
I tagli riguardano le 20 testate che superano i 500mila euro di contributo. Il governo intende continuare a sostenere economicamente l’informazione cambiando però modo di indirizzare le risorse: “Se la crisi sta continuando evidentemente le scelte fatte non sono state idonee a un risultato efficace. Lo Stato deve fare la sua parte – ha confermato Crimi, senatore eletto con i 5 Stelle – ma questo intervento non può sostituire integralmente il mercato”.

Sotto accusa, per Vito Crimi, c’è anche la gestione della legge 416, quella che permette i prepensionamenti in stato di crisi (“è stato utilizzata da qualche editore per ridurre il costo del lavoro”). Questa, e non solo per l’esponente dei Cinque Stelle, sarebbe una delle cause dei conti in rosso dell’Inpgi. “Prima di ragionare su come salvare l’Inpgi servirebbe una presa d’atto da parte di chi ha gestito l’Istituto sugli errori fatti” suggerisce Crimi. Ed elenca: “Ritardo di dieci anni nella riforma per passare al sistema contributivo delle pensioni; gestione che definirei problematica degli immobili; pensioni fuori scala (il riferimento è a quelle retributive più elevate ndr)”. Solo dopo, ha concluso “si potrà parlare di allargamento della platea contributiva”, riferendosi all’ingresso nell’Inpgi dei comunicatori. In altre occasioni il sottosegretario era già convenuto sulla necessità di esentare l’Istituto dal pagamento degli ammortizzatori sociali, tema il 4 luglio riportato nel dibattito dall’intervento di Pierluigi Franz, sindaco dell’Inpgi oltre che neopresidente del Sindacato cronisti romani.

Questo quadro – fatto da Palazzo Chigi – se è più preciso per l’Inpgi, è generico per il resto. Gli Stati generali dell’Editoria, che prevedono il confronto e il contributo dei vari “attori” del mondo informazione, sono infatti ancora a metà percorso. Ha sottolineato Ferruccio Sepe, Capo dipartimento Informazione ed editoria alla Presidenza del Consiglio: “Non vediamo una luce all’orizzonte, e in tutta Europa si stanno cercando strumenti per garantire il pluralismo. Sappiamo che da solo il mercato non può bastare”.
Sono state raccolte le proposte (anche chi scrive ha mandato le sue) di sindacati, gruppi, singoli. L’incontro del 4 luglio – nella nuova Aula dei Gruppi parlamentari della Camera a via Campo Marzio, piena a malapena per un terzo – era pubblico, aperto a tutti i giornalisti, e concludeva una serie di appuntamenti con i vari rappresentanti delle categorie coinvolte.
La prima cosa che ha colpito è stata l’assenza di quasi tutto il sindacato nazionale (erano presenti due membri di Giunta su 16, Daniela Stigliano e Claudio Silvestri), di molte associazioni regionali (presenti Stampa romana, la Lombarda, la Campania e le Marche), di tutto il Consiglio d’amministrazione dell’Inpgi, dei vertici della Casagit e dell’Ordine dei giornalisti. Ma anche di tante “firme” che avrebbero potuto, per una volta, affacciarsi liberamente in un laboratorio – come appunto sono stati organizzati questi Stati generali – e dire al governo come, quanto e perché sta male il nostro lavoro. Naturalmente si può essere scettici. Naturalmente si può pensare che tutto sarà inutile. Ma se non si prova, se non si tenta, se non si rappresenta una testimonianza, se non si è presenti neanche perché trascinati dalla nostra compagna di lavoro – la curiosità – è difficile difendere le proprie ragioni.

L’impressione che si è avuta, da subito, è che ci sia stato un passaparola a non partecipare. E in effetti nel pomeriggio del giorno stesso una dichiarazione del Segretario generale del nostro sindacato unitario, Raffaele Lorusso, a “Prima online” rivela come sia stata una scelta voluta, cosa peraltro immaginata da tutti, a cominciare da Crimi che ha fatto un accenno a un possibile “boicottaggio”. Il motivo della mancata partecipazione – è stato spiegato – era la convinzione che la presenza della Fnsi avrebbe legittimato un’impostazione che non si condivide. “Il tentativo – accusa Lorusso – è chiaro: il modello a cui si pensa è quello in cui si deve prescindere dall’informazione professionale, dal lavoro regolare, dalle aziende che rispettano le norme, distruggendo il mercato e annacquandolo nel mare magno della Rete dove, oltretutto, è difficile distinguere la notizia vera da quella falsa”.

L’assenza della Fnsi (che peraltro di indire gli Stati generali l’aveva chiesto da anni, sia con il centrodestra che con il centrosinistra al governo) ha offerto lo spunto a Crimi per parlare di “occasione perduta”. Ma se si è perso un interlocutore importante, in realtà è stato per questo appuntamento, non per l’insieme del percorso. La Fnsi ha presentato le sue proposte. E Lorusso in un precedente incontro, una tavola rotonda ancora con Crimi, aveva già indicato quali sono, secondo il sindacato nazionale, gli interventi necessari: indispensabilità dell’aiuto pubblico; iniziative per il sostegno all’occupazione e per la lotta al precariato; un’evoluta normativa anti-trust; una legge sul conflitto d’interessi; una normativa per un’equilibrata distribuzione delle risorse pubblicitarie; tutele contro i “bavagli” all’informazione; riconsiderare i Fondi dell’editoria ma sempre salvaguardando il pluralismo; centralità delle agenzie di stampa; riforma della legge 416.
C’è poi la consapevolezza, da parte della Federazione della Stampa, che i co.co.co. siano a volte usati surrettiziamente per sostituire posizioni contrattuali Fieg-Fnsi. Vero, anche se questo è la conseguenza dell’ultimo contratto di lavoro firmato dalla Fnsi nel 2014, dove si stabilisce la “normalità” per un co.co.co. di una produzione stakanovista di articoli a fronte di compensi molto modesti. Crimi, sull’abolizione dei co.co.co. (invocata agli Stati generali da più interventi) ha replicato dicendo che questi esistono perché esiste l’Ordine dei giornalisti.
In effetti, i co.co.co. sono stati aboliti per legge tranne che per le professioni ordinistiche. Ciò non toglie che la legge potrebbe essere cambiata, anche perché interventi diversi sembrano velleitari, e il confronto tra le parti sociali su questo tema è stato sempre perdente per i giornalisti. Ma anche sui co.co.co. ci sono analisi diverse nel sindacato, tra chi li ritiene il grimaldello per violare il contratto di lavoro e chi li ritiene comunque preferibili a un imperversare di partite Iva.
Conclusa la serie di interventi pubblici, ora si comincerà a lavorare sulle proposte, si farà una sintesi di quanto messo sul tavolo della discussione, e il governo dirà – ragionando su quanto è stato suggerito – cosa intende fare.

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