(V.R.) Nella redazione di un giornale, qualche giorno fa, è accaduto un episodio triste, preoccupante, di cui Professione reporter.eu ha dato per primo notizia. Un collega, che non ha retto allo stress provocato dal lavoro, dalle pressioni e dall’atteggiamento di un superiore gerarchico, ha minacciato il suicidio. Per fortuna è stato bloccato.
Il sindacato regionale “Stampa Romana” ha emesso un comunicato sottolineando “il clima di frustrazione, di alienazione, di autentico bullismo che si vive nelle redazioni di testate importanti e prestigiose”, dove si “svolgono scontri che vanno al di là di un civile confronto tra colleghi sul peso e il valore delle notizie” e si “assiste ad umiliazioni pubbliche….. anche durante le riunioni di sommario”. Ha preannunciato a partire dal mese di settembre iniziative concrete: anzitutto uno sportello per chi vuole denunciare episodi di bullismo e molestie in redazione, aperto a contributi che aiutino a chiarire una situazione tanto pesante. Si avverte una crisi nei rapporti, al punto che “quello che dovrebbe essere il centro creativo di un lavoro collettivo si trasforma in sofferenza e gogna” dice il sindacato. Parole gravi, indispensabili. Il sindacato, pur sotto il peso di una crisi che si riflette anche sulla sua funzione, può fare molto, ma molto devono fare gli editori e i direttori delle redazioni.
Alla tristezza deve aggiungersi però una riflessione, perché il nostro è un mestiere particolare. In tutti gli ambienti di lavoro si possono verificare tensioni, dissensi, frustrazioni, che possono incidere sulla produzione e sulla vita di chi lavora. Vale nelle fabbriche, negli uffici, vale anche per i giornali.
Con una differenza: che la professione giornalistica deve essere svolta da persone libere. Non è retorica, è ciò che il Parlamento ha scritto all’articolo 2 della legge n. 69 del 1963, che ha istituito la professione e l’Ordine. “È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica”. In base a questa norma quella del giornalista è un’attività diversa da tutte le altre, perché a differenza di qualsiasi lavoratore, anche “dipendente”, il giornalista lavora in autonomia, non obbedisce a ordini, prende le direttive da colleghi , i quali pur avendo un grado superiore non possono violare la sua autonomia, che è garantita dal contratto di lavoro e deve essere protetta dal direttore di testata. E’ un lavoro “collegiale”.
Una redazione non solo non può essere una caserma, ma è un luogo di confronto, di collaborazione. Un posto nel quale, come dice sempre l’articolo 2 della legge n- 69, si è tenuti tra l’altro “a promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi, la cooperazione fra giornalisti e editori, e la fiducia tra la stampa e i lettori”.
Questa è l’etica del giornalista, che non può essere calpestata e dimenticata mai. Chi intimidisce e minaccia un collega si pone fuori dalle regole, cerca di assoggettarlo, viola la sua autonomia.
Ha scritto ancora il sindacato romano: “Il nostro mondo soffre di una crisi senza fine con redazioni allo stremo senza ricambi generazionali costrette specie d’estate a turni di lavoro massacranti. Il legittimo desiderio di portare avanti piani editoriali non deve però tradursi dalle linee di comando vicine alle direzioni in controllo maniacale, asfissia e mancanza di rispetto nei confronti degli altri colleghi, meno o per nulla graduati”. Anche l’Ordine dovrebbe intervenire. Il giornalismo libero è messo in pericolo dalla crisi economica, dalla miopia interessata degli editore, da alcuni politici che vogliono piegarlo e indebolirlo. Speriamo che non ci si mettano anche direttori, vicedirettori e capiredattori a trasformarlo in una fabbrica o in un ufficio, luoghi rispettabili, nei quali c’è chi ordina e chi obbedisce. No, nelle redazioni non si può.

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