di MICHELE CONCINA

E’ vero che la televisione ammazza i giornali; ma qualche volta li cura, se si ricorda di essere un servizio pubblico. Da due anni la Bbc ha assunto 144 giornalisti, li ha collocati in decine di quotidiani, settimanali e altri mezzi d’informazione di provincia, e paga i loro stipendi. Si chiamano “Local democracy reporters”. Hanno il compito di trovare e raccontare storie sul potere locale: consigli municipali, gestori di servizi pubblici e altre autorità assortite, che poi vengono messe a disposizione di tutti gli 850 giornali, emittenti e siti d’informazione che partecipano al programma; Bbc inclusa, naturalmente. In pratica è sorta da zero una nuova agenzia di stampa monotematica, che ha distribuito finora oltre 50 mila servizi pubblicati o trasmessi, al costo di 6 milioni di sterline l’anno, quasi 7 milioni di euro.
In Gran Bretagna, come ovunque, i giornali locali hanno sempre meno soldi, perché la pubblicità migra su Internet, soprattutto su multinazionali gigantesche come Facebook e Google. In ballo c’è la sopravvivenza delle imprese e dei loro dipendenti, ma anche l’informazione di qualità come ingrediente fondamentale della democrazia, la possibilità di tenere sotto controllo l’esercizio del potere. La British broadcasting corporation, in base al proprio statuto, se n’è fatta carico stringendo un accordo con la News media association, l’organizzazione che riunisce la maggior parte delle testate del Regno Unito. “Il nostro obiettivo è migliorare il giornalismo locale, garantire un maggior controllo sulla vita pubblica e fornire ai nostri ascoltatori e ai lettori dei giornali un’informazione più ampia su ciò che realmente accade nelle loro comunità”, prometteva nel maggio 2017 James Harding, allora direttore giornalistico dell’emittente.
I reporter della democrazia lavorano alle dipendenze del partner locale, non della Bbc. Non possono occuparsi di politica nazionale. Nessuna uniformità dei contenuti, e tanto meno dei punti di vista politici, ma uno sforzo per mantenere alti gli standard nel Paese che ha inventato il giornalismo eccelso, ma anche quello infimo dei tabloid. Le linee-guida prescrivono di indicare le fonti; escludono servizi “basati su comunicati stampa di pubblico dominio, a meno che l’argomento sia stato elaborato in misura significativa con nuove informazioni o dichiarazioni”; e impongono di pubblicare “immediatamente” le correzioni eventualmente necessarie.

L’Esperto e spigoloso Peter Lilley

Per vedersi “regalare” un reporter, il giornale o l’emittente deve avere bilanci presentabili e una storia documentata d’informazione locale a buoni livelli.Non tutto è andato liscio, naturalmente, ma l’unico incidente davvero clamoroso è capitato un anno fa a Harrogate, nello Yorkshire. Il Local Democracy Reporter assegnato al quotidiano locale, l’esperto e spigoloso Peter Lilley, è stato allontanato dopo appena un mese, a causa di una lettera in cui il presidente del consiglio municipale avvertiva la direttrice dello Harrogate Advertiser che nessuno dei consiglieri avrebbe aperto bocca con lui. Prima di fare le valige, Lilley ha fatto in tempo a consegnare un servizio su una lotteria promossa dal consiglio municipale, mettendo in evidenza che ogni partecipante aveva una possibilità su un milione di vincere. L’articolo è stato riscritto da cima a fondo dalla direttrice. “E’ ridicolo”, sbuffa il giornalista. “Non voleva in pagina nulla che potesse lontanamente somigliare a una critica verso il consiglio”.
Qualche polemica è nata anche dal fatto che 134 dei 144 assunti sono stati assegnati alle testate di proprietà dei tre maggiori gruppi editoriali della stampa locale, Reach Plc, Newsquest e JPI Media. I piccoli editori indipendenti accusano: è un regalo ad aziende che da anni licenziano giornalisti per tagliare i costi. Gente che tira avanti “facendo il copia e incolla dei comunicati stampa della polizia, del municipio e di chiunque”, accusa Stephen Kingston, direttore del Salford Star. “Quello della Bbc è denaro pubblico usato per sostenere editori pigri e spregiudicati”.
Ma gli interessati, i reporter della democrazia, intervistati anche in forma anonima dal sito specializzato Press Gazette, sembrano piuttosto soddisfatti. Come Alice Richardson, 24 anni: “Abbiamo la sensazione di fare qualcosa di buono, di creare una differenza”. E James Cain: “Aiutare la gente a capire chi vota e perché è un buon impiego dei soldi della Bbc”. Molti hanno riferito che i giornali in cui sono approdati non avevano finora la possibilità di assegnare un giornalista a tempo pieno agli affari pubblici; e che di conseguenza le autorità locali non erano abituate a uno scrutinio attento. I ritmi di lavoro, tuttavia, sono abbastanza alti -le linee-guida della Bbc prevedono una media di due servizi al giorno- e qualcuno teme di dover sacrificare prima o poi la qualità alla quantità.

Una raccolta di migliaia di dati

E’ positivo anche il primo rapporto pubblicato dalla Bbc sull’iniziativa, con una piccola antologia degli scoop più efficaci, delle amministrazioni sbugiardate, degli sprechi scoperchiati. A servizio del progetto, che si chiama ufficialmente Local news partnership, la Bbc ha allestito la Shared data unit, una struttura per la raccolta, l’organizzazione e l’analisi delle migliaia di dati che vengono diffusi ogni giorno dalle amministrazioni locali; o vengono loro strappati usando la legge sulla libertà d’informazione, che in Gran Bretagna funziona sul serio. Giornalisti addestrati, provenienti dalla Bbc e dai media locali, scavano fra quei dati in cerca di storie, da mettere poi a disposizione di tutti.

L’esperimento ha avuto abbastanza successo da invogliare diversi Paesi a imitarlo. La prima a muoversi concretamente è stata la Nuova Zelanda. Ai primi di giugno Radio New Zealand, l’emittente pubblica locale, ha annunciato un accordo con gli editori che ricalca quello britannico. I giornalisti saranno otto e avranno gli stessi compiti; il progetto costerà poco meno di 600 mila euro.
Nelle ultime settimane la Bbc sta pensando di dare stabilità alla sua iniziativa, affidandola a una vera e propria charity, un’organizzazione senza fini di lucro. Dovrebbe chiamarsi Local democracy foundation. I dettagli dovrebbero essere resi noti in estate, ma secondo voci insistenti dovrebbe raccogliere fondi anche da Facebook e Google, assorbendo in tutto o in parte la pioggia di finanziamenti che i due colossi della Rete spargono sulla stampa del Regno Unito per cercare di tenersi buoni giornali e giornalisti in questi tempi di cattiva reputazione.Il social network di Mark Zuckerberg ha annunciato a novembre che nei prossimi due anni spenderà in Gran Bretagna quattro milioni e mezzo di sterline (cinque milioni di euro) per un programma molto simile: i soldi andranno al National council for the training of journalists per addestrare reporter al compito di “raccontare la vita delle città che hanno perso il loro giornale locale”. I candidati verrebbero scelti in modo da rappresentare una varietà di provenienze e di strati sociali. Google ha avviato tre anni fa la sua Digital news initiative, un fondo per l’innovazione che ha distribuito finora 115 milioni di euro in 30 Paesi; all’Italia toccano, quest’anno, poco più di due milioni. Fra i progetti italiani premiati, due sono stati presentati dal gruppo Sole-24 ore, uno dalla Rizzoli-Corriere della sera, uno dalla Adnkronos, uno da La Sicilia.
Per entrambi i “benefattori”, ovviamente, si tratta di briciole: il fatturato di Facebook nel 2018 sfiora i 50 miliardi di euro, quello di Google supera i 120 miliardi. Ma alla London School of Economics già temono che quei soldi possano drogare le testate che li ricevono. Con il rischio che quando i due giganti del Web decideranno che il pericolo è passato e chiuderanno il rubinetto, i giornali non sapranno più come sopravvivere.

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