La conferenza stampa di Salvini dopo il grande risultato della Lega alle elezioni europee non è una conferenza stampa vecchia maniera. E’ più conferenza che roba per la stampa (domande e risposte). Tanto per dire, la prima domanda arriva al minuto numero dodici, dopo una lunga orazione di Salvini. Il fatto singolare però è un altro. Le domande alla fine saranno una ventina, i colleghi stranieri rigorosamente, parlando in italiano, danno del “lei” al nuovo leader, la maggior parte degli italiani anche, ma due degli italiani invece danno a Matteo del “tu”. Lo stesso pronome, evidentemente, che con lui utilizzano in privato o comunque durante lo svolgimento non pubblico del loro lavoro. Il codice che il “tu” rivela è quello di un’intimità forte, pacche sulle spalle, braccia sotto il braccio, la forma messa fra parentesi.
Si obietterà: ma un giornalista politico passa le giornate, ore e ore con i politici, alla fine, come in ogni rapporto umano, il “tu” scatta automatico. Quindi, se fra giornalista e politico si passa al “tu”, dal quale di solito non si torna indietro, perché fingere davanti alle telecamere di una conferenza stampa o di un talk show?
La regola di un buon giornalismo -che si dovrebbe inserire nel testo unico della deontologia professionale- è che si mantiene sempre una distanza di sicurezza dalle fonti. Di sicurezza, perché la troppa vicinanza può sconfinare in terreni oltre la professione.
Certe volte però è difficile. Per avere notizie, si deve andare al bar assieme, a pranzo in trattoria, perfino accompagnare il politico a prendere i figli a scuola, ridere a battute da caserma e anche farne. Insomma una capacità mimetica può far parte del bagaglio del buon giornalista. Sempre che l’unico obiettivo restino le notizie.
Quindi, l’ideale sarebbe il “lei” tutta la vita. Ma se questo fredda troppo le relazioni, il “lei” va mantenuto almeno in pubblico. Una recita? No, una forma, che mantiene la dignità a beneficio di tutti i colleghi.
C’è un altro settore del giornalismo che indulge con il “tu”, lo sport. Nelle conferenze stampa degli allenatori i giornalisti che usano il “lei” sono probabilmente solo gli ultimi arrivati. Dovrebbero valere le stesse regole anche lì. Una delle cadute del giornalismo negli ultimi decenni è l’avvicinamento progressivo al potere in ogni campo e l’allontanamento dal mondo dei potenziali o presunti lettori.
Il “tu” ai potenti è la plastica dimostrazione di tale malsano processo.

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