di LODOVICO SARFATTI

Nella relazione annuale della Covip, l’organismo di vigilanza statale sui fondi complementari, presentata il 23 giugno 2025, il Presidente Mario Pepe ha focalizzato la sua analisi sulla necessità di accrescere la fiducia nel sistema previdenziale. Perché il comparto è arrivato a raccogliere e gestire quasi 250 miliardi di euro nel 2024 ma per poter svolgere il ruolo che i governi cercano di affidargli, ovvero di concorrere alla sostenibilità del sistema pensionistico, è necessario intercettare “più giovani, di genere femminile e residenti nelle aree meridionali”. In pratica, di includere anche le fasce più deboli di lavoratori nel sistema previdenziale complementare. Perché la vera preoccupazione – come affermato dal sottosegretario al ministero del Lavoro, Claudio Durigon, a commento della relazione Covip – è che “sappiamo benissimo che avremo pensioni sempre più povere”.

prestazioni generose

Dopo qualche giorno, fa eco la proposta del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che evidenzia all’assemblea dell’Ania, l’associazione del mondo assicurativo, la necessità di una riforma delle norme sulla previdenza assicurativa anche per poter offrire “prestazioni più generose”.

Qual è il filo rosso che lega questi tre passaggi sulla previdenza complementare?

Il primo pilastro previdenziale, quello pubblico e obbligatorio gestito dall’Inps, soffrirà nei decenni a venire per il maggiore invecchiamento della popolazione e per l’allungamento dell’aspettativa di vita. Più anziani e più longevi. Una prospettiva che fa temere sulla tenuta dei conti della previdenza.

obbligo di legge

Da qui la necessità di chi governa il Paese di favorire quanto prima un ampliamento della previdenza complementare.

Il rafforzamento della previdenza complementare, però, può essere costruito soltanto su un fattore: la fiducia del cittadino-lavoratore. Si può operare, certo, per obbligo di legge (vedi le intenzioni di forzare il travaso dei Tfr nei fondi pensione). Come si può favorire una fiscalità agevolata per la gestione della previdenza complementare. Ma le leve disciplinari e/o economiche valgono nulla senza aver prima ispirato e coltivato una generale fiducia verso il comparto della previdenza complementare. 

Cosa c’entra il Fondo Casella?

terzo pilastro

Al lettore attento non sarà sfuggito che abbia finora qualificato come “primo pilastro” previdenziale, obbligatorio e statale, la gestione Inps. E definito i fondi privati, ad adesione volontaria a gestione privata, “previdenza complementare”. Un comparto che, nell’accezione comune di politici e analisti, viene indicato come “secondo pilastro”. Impropriamente, perché tra il primo e il secondo pilastro esiste un’altra categoria di enti non statali ma con carattere di regime previdenziale obbligatorio. Ne fanno parte le casse di previdenza, sostitutive dell’Assicurazione Generale Obbligatoria (AGO, cioè l’Inps), più fondi di previdenza integrativa, sempre obbligatori.

Nella relazione 2025 della Covip, il Presidente Pepe precisa che la vigilanza per questi ultimi “è articolata in un sistema di controlli che vede nei ministeri del Lavoro e dell’Economia una competenza generale”. Mentre “alla Covip” – continua – “è attribuito il controllo degli investimenti delle risorse finanziarie e sulla composizione del patrimonio”.

non più privato

E’ in questa fascia che si colloca il Fondo “Fiorenzo Casella”, nato per integrare l’Assicurazione Generale Obbligatoria (Inps) dei lavoratori poligrafici e “inglobato nell’ordinamento dello Stato”, come già evidenziato il 13 marzo scorso in audizione parlamentare dalla precedente Presidente Covip, Francesca Balzani. E’ il decreto 1158 del Presidente della Repubblica Gronchi, nel 1962, a renderlo obbligatorio per i lavoratori poligrafici, integrando per legge i diritti e i doveri di lavoratori e parti istitutive nel Contratto nazionale di categoria.

Un fondo, il Casella, non più privato ad adesione volontaria dal 1962. Ma inglobato e controllato dallo Stato, più precisamente dal ministero del Lavoro e dal ministero dell’Economia. Non è un caso se, durante l’audizione parlamentare, la ex Presidente Balzani abbia alzato la voce e puntato in alto il dito indice per precisare i ruoli (ed evidentemente le responsabilità) ai deputati e senatori della Commissione, affermando che il Casella “era un sorvegliato speciale del ministero del Lavoro”.

speciale deroga

A consolidare la posizione del Fondo Casella nella categoria delle casse di previdenza – sostitutive o integrative dell’Assicurazione Generale Obbligatoria (Inps) – vi è il Decreto del 22 dicembre 1995 del Ministero del Lavoro che lo ammette al regime speciale di deroga ai vincoli normativi della legge di settore, il D.lgs. 124 del 1993.

L’allora ministro del Lavoro, Tiziano Treu, in qualità di tecnico indipendente del governo Dini (dal 1996 senatore dell’Ulivo, poi attivista della Margherita e dei Ds), esercita quella “competenza generale” di controllo e supervisione richiamata nella relazione della Covip, autorizzando con decreto il Fondo Casella a intervenire con autonomia gestionale, e al di fuori del dettato di legge, su amministrazione e prestazioni. Ed è così che il Fondo Casella comincia ad abdicare alla funzione di protezione sociale per il quale era stato concepito dai fondatori e protetto dallo Stato dal 1962: la gestione in deroga permette alle parti istitutive (editori e sindacati) di iniziare un processo di costante sgretolamento delle misure regolamentari utili a proteggere le condizioni di fragilità dei lavoratori. Dall’inasprimento alle prestazioni di riscatto per cassintegrazione, invalidità, inoccupazione, fino alla revisione dei parametri della reversibilità. Per concludere con la stagione dell’attuazione dei “contributi di solidarietà”, ovvero i tagli alle prestazioni pensionistiche che in quattro step raggiungeranno la decurtazione dell’88% delle erogazioni ai pensionati.

regime a ripartizione

Perché ora l’autoliquidazione del Casella scuoterebbe le basi della previdenza?

Lo speciale regime di deroga – concesso dal ministero del Lavoro nel 1995 esclusivamente a 3 fondi su 700 richieste – aveva l’obiettivo di consentire una tempistica più congrua per raggiungere l’equilibrio nei bilanci e di conseguenza il rientro nell’alveo della normativa vigente. Una normativa di settore che già nel 1993 prevedeva di accompagnare il comparto previdenziale al superamento della rischiosa gestione a ripartizione, sostituendola con una contabilità a capitalizzazione. Percorso impresso con ulteriore autorità e spinta dalla successiva riforma del 2005, attualmente in vigore. Una deroga, pertanto, concessa in via temporanea, sebbene non fosse stata indicata una scadenza. Natura temporanea del dispositivo giuridico che avrebbe dovuto allertare la massima vigilanza del ministero.

margini di manovra

I gestori del Fondo Casella hanno invece utilizzato i maggiori margini di manovra concessi dalla speciale gestione in deroga quasi esclusivamente per tagli alle prestazioni e per restrizioni al Regolamento, senza mai adoperarsi a una profonda riforma interna delle modalità amministrative. “La gestione a capitalizzazione fu introdotta dal Fondo Casella solo nominalmente, ma continuando a esercitare per quest’ultima comunque la gestione a ripartizione”, ha rivelato l’ex Presidente Covip in audizione parlamentare.

A questo punto, se è più che evidente in capo a chi risiedano le responsabilità dirette della gestione dei soldi dei lavoratori poligrafici, è altrettanto palese che sia venuto meno quel dovere di vigilanza articolata tra i ministeri del Lavoro e dell’Economia, come illustrato nella relazione Covip. Tanto che, in un successivo passaggio dell’analisi del Presidente Pepe, si suggerisce di “semplificare e razionalizzare il sistema dei controlli, oggi molto complesso e frammentato, anche valutando di rafforzare i poteri della Covip”.

squarcio sulla solitudine

E allora veniamo alla domanda dirimente: si può coltivare una generale fiducia verso la previdenza complementare se lo Stato non ha strumenti adatti a garantire la tutela dei partecipanti? Il caso del Fondo Casella apre un squarcio sulla solitudine del lavoratore poligrafico il quale, discriminato nel rispetto dei diritti alle prestazioni e alle tutele sociali dagli stessi gestori-rappresentanti dei lavoratori, percepisce persino l’abbandono da quello Stato che in questa situazione lo ha incastrato. Perché l’obbligatorietà alla partecipazione al Fondo Casella avrebbe dovuto tradursi con una maggiore tutela da parte dello Stato, proprio perché da esso imposta. Perché la concessione ministeriale della speciale deroga avrebbe dovuto tradursi con una migliore agibilità a gestire i conti finanziari, non a impattare sulle condizioni di fragilità o i diritti acquisiti.

Per questo la domanda è insistente: possono gli esponenti dello Stato – i Pepe, i Durigon, i Giorgetti – operare una campagna “propagandistica” a favore della previdenza complementare senza risolvere prima l’eredità di decenni di vigilanza mancata sul Fondo Casella? Possono ispirare fiducia i loro appelli se alle spalle aleggia l’autoliquidazione di un fondo che lo Stato ha inglobato nel proprio sistema di protezione sociale? Possono ragionare di futuri scudi previdenziali per i più fragili se non sono in grado adesso di tutelare diritti costituzionali di quasi 20 mila famiglie di poligrafici?

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