di DANIELA PREZIOSI

Il pubblico televisivo degli anni ’90 lo ha scoperto nelle sue monumentali corrispondenze per il Tg3 di Sandro Curzi, durante la prima guerra del Golfo. L’attacco del pezzo era praticamente sempre lo stesso, così andava quella guerra: “E anche oggi gli Stati Uniti hanno scaricato il loro carico di morte su Baghdad”. Lucio Manisco era già un mito. Voce gracchiante e severa, aveva lavorato per quaranta anni negli States, e ne era diventato indomabile fustigatore.

Non era “antiamerikano”, la sua era analisi spietata di cronista, anche se era amico di tutti i marxisti a stelle e strisce, professori universitari, attrici intellettuali e tutti i tipi di radical, che infatti a Roma pellegrinavano nella sua casa vicino al monumento di Matteotti.

“Palazzo minato”

Nato nel 1928, giornalista dagli anni ’50, giovane assistente ai programmi della Bbc, a Londra divenne corrispondente del Messaggero – poi fu nel Comitato di redazione, raccontano che nel pieno di una vertenza chiamò l’editore: “Abbiamo minato il palazzo”, non so se sia vero ma era da lui – poi corrispondente dagli Usa del Messaggero e poi del Tg3. Curzi lo amava e lo temeva.

Negli anni ’90 non fu il primo Direttore di Liberazione, organo di Rifondazione comunista – prima c’erano stati Luciana Castellina e Oliviero Diliberto – ma era stato lui a trattare con l’amico Marco Pannella per farsi cedere, gratis, quella meravigliosa testata radicale. Quando arrivò lui in redazione, per chiarire che non avrebbe diretto “un bollettino di partito”, lo fece ridisegnare a Aurelio Candido, grafico geniale e radicale anche lui.

dialoghi esilaranti

Manisco era già stato eletto da indipendente al Parlamento in Rifondazione comunista, poi europarlamentare. Quando Diliberto si installò al ministero di Giustizia, fiero di sedere alla scrivania di Togliatti, Manisco gli fece vedere i sorci verdi per ottenere l’estradizione della sua amica Silvia Baraldini dalle carceri Usa: non tollerava dilazioni, quelli della “posse” Ak47 fecero un rap con una sua “arringa”. Nel quotidiano comunista era un Direttore cossuttiano e tuttavia insofferente al funzionariato: per questo prima di diventare davvero un po’ sordo, aveva finto di esserlo, ne uscivano dialoghi esilaranti che esondavano dalle porte chiuse.

Manisco aveva fonti in tutto il mondo, beccava storie con anni di anticipo. Il suo amico Claudio Fracassi mi ha raccontato dell’alba in cui Lucio lo avvertì dell’esplosione di Chernobyl. Per un giorno intero nessuno ne seppe niente. Fracassi ebbe fede e Paese Sera fece lo scoop.

rainbow warrior

A Liberazione impose per mesi il diario di bordo della Rainbow Warrior, l’ammiraglia di GreenPeace, che navigava verso l’atollo di Mururoa. Noi redattori pensavamo “ma chissenefrega di questi ecologisti” e invece i test nucleari francesi si fecero e il caso esplose (la nave, poi, fu affondata dai servizi dell’Eliseo e si portò giù un fotografo, poi il rottame incredibilmente ricomparve arrugginito nel Bosforo). Dietro la sua scrivania aveva appeso un avviso: “Sogno la riunione che abolisce tutte le riunioni”, Majakovskij, redattori costretti alla sintesi, il Comitato di redazione impazziva.

Pensava il giornale del giorno dopo a cena, tavolate lunghissime, serate che finivano a tu per tu con il ritratto di Lenin, o a riascoltare la Marsigliese di Jessye Norman a Place de la Concorde, nel bicentenario della Rivoluzione Francese. In quelle cene si incontrava il dissenso di qua e di là, sovietici in fuga e Vanessa Redgrave (“Vieni, c’è Tomba Rossa”). E pittori finissimi, lo era lui stesso.

canarini intelligenti

Per tutta la vita ha amato l’America, per questo la odiava. In un’intervista, anni fa, mi spiegò: la sinistra americana “è la più inetta del mondo. Tutti amici miei. Hanno le idee chiare, ma sono canarini intelligentissimi, cinguettano nelle gabbiette dorate”. Degli States gli piaceva solo un prodotto esportato “la libertà, ma il mio debito di gratitudine va prima all’Unione sovietica, poi agli Stati uniti e alla Resistenza francese”. Per il resto “non è mai stata una grande democrazia, casomai una grande repubblica. Ma c’è stata un’inversione di tendenza. Ora è un paese corporativo e fascista. Lo dice Gore Vidal e tutti quelli che hanno gli occhi aperti. È al declino e come tutti gli imperi al declino è pericolosissimo”. Era il 2007.

Manisco è morto il 6 maggio a Roma. Ultimo saluto al Cimitero del Verano, Tempietto Egizio. Ha dispensato fino alla fine la sua ironia ruvida e il suo pessimismo cosmico e inemendabile. L’interlocutore non aveva scampo, perché i fatti che scopriva, o metteva in fila, non lo concedevano. Per questo Manisco, maestro e Cassandra, era un cronista che scriveva il futuro.

(nella foto, Lucio Manisco)

Testo pubblicato su Domani del 7 maggio 2025

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