di MICHELE MEZZA

La crisi di Repubblica è in qualche modo un aspetto del rattrappirsi del “campo largo” della sinistra, prima ancora di una congiuntura negativa di una testata? E più in generale, l’esaurirsi della “spinta propulsiva” del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari ci indica la quantità e qualità di un mutamento della base sociale delle forze politiche e sindacali della sinistra? Sono domande che dovremmo usare, nel senso più utilitaristico del termine, per comprendere cosa stia accadendo alla radice, e non solo alla chioma, di quell’albero che simboleggiava il potente radicamento del partito erede del PCI.

direzione e redazione

Intanto cerchiamo di focalizzare quale sia la crisi che sta portando il quotidiano simbolo della modernizzazione culturale del Paese negli anni ’80 a rimpicciolirsi spettacolarmente. Da una parte ridimensionando vertiginosamente la sua capacità di diffusione, e dall’altra, come abbiamo visto nei giorni scorsi, per la prima volta, a ratificare uno scollamento fra direzione e redazione come conseguenza di un’intromissione della proprietà nella gestione giornalistica.

Proprio in queste ore la Exor, la finanziaria degli eredi degli Agnelli, capitanata dal ramo Elkann del casato, ha reso pubblico un consuntivo dello scorso esercizio piuttosto lusinghiero. Nelle varie voci in attivo anche il gruppo Gedi, il ramo editoriale che è il formale proprietario di Repubblica. Si parla di quasi 5 milioni di utenti unici al giorno per le diverse attività della struttura editoriale, con un aumento sensibile dei profitti per le attività digitali. Ma non si fa menzione alcuna dei singoli profili di bilancio, e specificatamente per Repubblica siamo ad un silenzio tombale. Si comprende che la radiografia economica della testata sia molto problematica.

più web manager

In meno di 10 anni Repubblica è passata da una diffusione complessiva di circa 700 mila copie a meno di un decimo. Parliamo delle vendite in edicola, a cui aggiungere circa 40 mila utenti unici digitali al giorno. Una massa questa che inevitabilmente, come accade in tutti i giornali, sposta il baricentro editoriale verso l’on line, imponendo una drastica riorganizzazione del corpo redazionale, oggi ancora forte di più di 320 elementi, e, all’interno della robusta cura dimagrante, già iniziata da tempo, si annuncia una mutazione radicale dei profili professionali dei componenti di quel corpo stesso. Più web manager, meno artigiani redazionali. Proprio i dati declamati dalla Exor fanno intuire come sia già avviata una mediamorfosi, potremmo dire, in cui i giornali diventano dei centri servizi per distribuire specifiche attività altamente personalizzate per ogni singolo lettore. Proprio la ricetta adottata dalle grandi testate internazionali, dal New York Times a Le Monde.

cambio d’identità

Un quadro che ci indica chiaramente come stia cambiando pelle quello che era considerato il principale “giornale partito” del paese, una portaerei che capeggiava un folto e ramificato grappolo di testate intermedie- come il Secolo XIX a Genova ed oggi La Stampa a Torino – e quasi una ventina di locali, come i giornali provinciali in Veneto e nella bassa Emiliana, e il glorioso settimanale L’Espresso.

L’acquisto del gruppo editoriale Gedi, originariamente di proprietà del duo Caracciolo-Scalfari, da parte della famiglia Agnelli (oggi come abbiamo detto Elkann) è stato il segnale di un vero cambio di identità dell’intero gruppo.

portaerei ridimensionata

L’Espresso era già in rampa di cessione, poi con i nuovi proprietari che stavano manovrando per diluire l’intero complesso produttivo della Fiat nel gruppo Italofrancese di Stellantis, con un disancoramento evidente degli interessi industriali e politici dal nostro Paese, cominciò il ballo dei prepensionamenti, per ridimensionare la portaerei. Ma soprattutto si cominciava a discutere del ruolo e funzione delle testate. E qui si apre la parte politica.

Repubblica, come tutti noi sappiamo, è stata una componente essenziale del dibattito della sinistra. Sarebbe stata del tutto distorta e diversa la lunga marcia nelle istituzioni del Bottegone senza un supporto esplicito del giornale diretto da Scalfari: il percorso di Berlinguer, con il suo compromesso storico e l’appello all’austerità, la resistenza intransigente al terrorismo, la scelta di non trattare per Moro, e poi l’anti craxismo come identità, la spinta sulle compatibilità del sistema, e ancora il feeling con De Mita, e poi la Bolognina di Occhetto e la campagna su “Mani pulite”, fino all’inizio della “guerra dei trent’anni” contro Berlusconi.

fiancheggiamento editoriale

Viceversa, le fortune editoriali della testata sicuramente non avrebbero avuto il ritmo e la dimensione che hanno conosciuto, sorpassando ripetutamente il Corriere della Sera come primo giornale italiano, se l’elettorato comunista non avesse colto il fiancheggiamento editoriale come forma di una inedita egemonia sulla società italiana.

In realtà, proprio il travaso dalle testate della sinistra, Paese Sera e l’Unità, al quotidiano liberal era già l’annuncio di una mutazione genetica che il partito di Togliatti e Berlinguer cominciava a subire senza coglierne né la ragione né tanto meno la dinamica. Possiamo dire che Repubblica ha prosciugato il bacino di espansione del Pci, accompagnandone e, per molti versi, decantandone, l’inevitabilità della trasformazione da partito della società industriale a partito di una società immateriale e individuale.

razza padrona

Certo, in questa transizione si è intrufolata ad un certo punto una versione aggiornata di quella razza padrona che proprio Scalfari, con il fido e brillante Giuseppe Turani, denunciò negli anni ’70 nelle campagne contro Cefis e gli intrecci incestuosi di borsa. La fragilità politica di quel “giornale partito” lo ha reso talmente esposto fino a diventare preda di una famiglia che si sta muovendo certamente in maniera non difforme dai corsari finanziari degli anni ’80, o dalla galassia berlusconiana un decennio dopo.

Ora i due protagonisti di quella relazione innaturale fra un giornale che dettava la linea e un partito che assicurava il mercato si trovano esausti, ai margini della scena. Da una parte si dovrebbe innestare una campagna civile, una vera mobilitazione dell’opinione progressista, per ridare forma e trasparenza ad un partito che possa aggregare figure professionali ed interessi sociali interni al conflitto digitale da orchestrare. Dall’altra, proprio questa mobilitazione civile potrebbe essere un incubatore per una nuova stagione di un giornale che non debba essere supplente di un partito, ma solo difensore civico di una domanda di libertà.

(Testo da strisciarossa.it, blog di informazione e di approfondimento indipendente)

(nella foto, Enrico Berlinguer ed Eugenio Scalfari)

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