(A.G.) Tenzone in vari atti. Che ci racconta lo stato dei rapporti fra informazione e politica in Italia. 

Atto primo: la Repubblica sabato 20 gennaio titola in prima pagina: “Italia in vendita”. Annunciando il piano di privatizzazioni del governo Meloni: Eni, Poste, Mps, Ferrovie. Per raccogliere 20 miliardi. 

Atto secondo: lunedì 22 gennaio Carlo Calenda, leader di Azione, in un’intervista al Messaggero dice: “La sinistra e la Cgil hanno smesso di parlare della fuga della ex Fiat da quando Elkann ha comprato Repubblica. Da quando dico queste cose il gruppo editoriale Gedi non mi ha più fatto fare una singola intervista su uno dei suoi giornali”.

Atto terzo: Giorgia Meloni intervistata da Nicola Porro su Rete 4 dice: “Mi ha fatto un po’ sorridere l’accusa arrivata da Repubblica, con una prima pagina sull’Italia ‘in vendita’. Che quest’accusa venga dal giornale di proprietà di quelli che hanno preso la Fiat e l’hanno ceduta ai francesi, hanno trasferito all’estero sede legale e sede fiscale, hanno messo in vendita i siti delle nostre storiche aziende italiane… Non so se il titolo fosse un’autobiografia però, francamente, lezioni di tutela di italianità da questi pulpiti, anche no”.

Atto quarto: martedì 23 gennaio Maurizio Molinari, Direttore di Repubblica scrive un fondo intitolato “Un giornale libero”:  “Confondere l’indipendenza di Repubblica con gli interessi del suo editore significa ignorare i fondamenti stessi della libertà e dell’indipendenza del giornalismo che questa redazione esprime sin dal giorno della fondazione, il 14 gennaio 1976… Esprimiamo spesso opinioni scomode anche per altri attori politici ed economici senza eccezioni… La vita democratica impone a un capo di governo di affrontare ogni domanda anche le più ostiche”. E per Calenda: “Non esistono veti di sorta da parte della nostra redazione nei confronti suoi e di qualsiasi altro protagosta della vita politica e sociale del paese”.

Atto quinto: Calenda replica su X a Molinari: “Repubblica non ha mai pubblicato un articolo sulla situazione drammatica delle fabbriche Stellantis in Italia… L’Economist, pur appartenendo agli stessi azionisti, all’indomani all’indomani dell’accordo PSA-FCA pubblicò un pezzo dicendo chiaramente che si trattava di una vendita e non di una fusione. Un altro giornalismo è possibile”.

Atto sesto: la Federazione della stampa scende in campo: “Collegare il lavoro dei giornalisti all’orientamento economico-politico del loro editore è fuorviante e non tiene conto del ruolo essenziale dei giornalisti nel porre domande ai politici”. Il Comitato di redazione di Repubblica “respinge gli attacchi di Giorgia Meloni al nostro giornalismo e difende il lavoro di tutte le colleghe e i colleghi di Repubblica che giorno dopo giorno sono impegnati nel racconto quotidiano del Paese, con libertà di critica e di analisi. Nel farlo, il Cdr rivendica l’autonomia della testata rispetto agli interessi del proprio editore”.

Atto settimo: mercoledì 24 gennaio la Repubblica apre il giornale con il titolo “Voglia di censura”.

Atto ottavo: nello stesso numero Repubblica intervista, nell’intera pagina 6, Carlo Calenda, che ribadisce il suo pensiero su Stellantis, Landini, la sinistra. 

Solo alcune, piccole, annotazioni.

Naturalmente sarebbe meglio se gli editori dei giornali in Italia si occupassero esclusivamente di editoria e non avessero altri notevoli interessi da proteggere. Non è mai stato così e gli esempi contrari si contano sulle dita. Anche gli editori puri, tuttavia, non sono mai così puri e hanno spesso in Italia una relazione distorta con i governi di ogni colore: vedi la scandalosa vicenda dei prepensionamenti, che da 15 anni permette a tutte le società editoriali di liberarsi dei sessantenni a spese dello Stato.

Sarebbe meglio che in Italia i media fossero meno schierati da una parte o dall’altra e scegliessero invece la parte dei lettori, spiegando, raccontando, contestualizzando.

Sarebbe stato meglio se Meloni avesse risposto a la Repubblica soltanto sul merito delle privatizzazioni. 

In ultimo: la Repubblica è l’unico giornale che, con la direzione Molinari, ha avviato un’abitudine. Ogni volta che nomina Stellantis apre una parentesi e scrive “che appartiene al gruppo editore di questo giornale”. Certo, da qui a fare inchieste sulle fabbriche Stellantis, ce ne corre.

 

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