La settimana dal 4 al 9 settembre ha registrato ancora femminicidi, quattro. Anche se sui numeri complessivi c’è confusione. Saranno 78, 79 o 80 dall’inizio dell’anno? Ogni giornale porta i suoi calcoli. 

Lo rileva la Rassegna Sui Generis, curata dall’associazione di giornaliste GiULia. I giornali esaminati sono Il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, Il Giornale, Il Messaggero, Avvenire, Domani, Il Fatto quotidiano, Il Sole 24 ore, Il Manifesto, Libero, La Verità, QN, La Gazzetta dello Sport, Tuttosport e uno sguardo al web

A Roma è stata uccisa Rossella Nappini, 52 anni, infermiera al San Filippo Neri. A colpirla a morte sarebbe stato un uomo col quale aveva avuto una breve relazione, Adil Harrati, fermato dalla polizia poche ore dopo. La vittima aveva partecipato anche a iniziative contro la violenza sulle donne, lascia due figli piccoli. Venerdì 8 settembre tutti i giornali, tranne La Verità che ha ignorato la notizia, hanno portato sulle loro prime pagine un secondo femminicidio, quello di Marisa Leo, giovane imprenditrice del vino, mamma di una bambina di 4 anni. Pure lei attivista contro la violenza di genere, era stata invitata dall’ex compagno Angelo Reina a un incontro chiarificatore: lui l’ha uccisa, togliendosi la vita poco dopo. Marisa Leo lo aveva denunciato nel 2020 per stalking, ma aveva ritirato la denuncia pensando al futuro della figlia. 

Nella settimana affiorano le storie di altre due donne uccise, che hanno fatto molto meno notizia: a Pescara Alina Cozac era morta improvvisamente in casa, apparentemente per un malore, il 22 gennaio scorso; ma i risultati definitivi dell’autopsia hanno portato all’arresto, per omicidio volontario, del compagno della donna, Mirko De Martinis, che l’avrebbe strangolata nel sonno. Ancora più lontana nel tempo la vicenda di Maria Chindamo, imprenditrice agricola scomparsa nel nulla il 6 maggio del 2016 a Limbadi, in Calabria: secondo le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia alla Dda di Catanzaro, sarebbe stata uccisa da Salvatore Ascone e data in pasto ai maiali. A quanto si è letto sui giornali, sembra si siano intrecciate situazioni private e la volontà della donna di gestire i terreni ereditati dal marito, che però interessavano molto alla ‘ndrangheta. 

Sui giornali, grande indignazione a cominciare dal presidente Mattarella che, nel messaggio indirizzato al “Tempo delle donne” del Corriere della Sera, ha parlato di barbarie sociale e di concezioni miserabili dei rapporti fra uomo e donna. Si riferiva, Mattarella, anche agli episodi di violenza sessuale che hanno caratterizzato l’estate dell’orrore 2023, come gli stupri di gruppo a Palermo ai danni di una ragazza di 19 anni e le violenze su due bambine a Caivano.

Codice rosso. Approvata la norma che dovrebbe rendere più celeri gli interventi di vario genere per proteggere le donne che denunciano violenze. In aula la commozione della deputata dei 5 stelle Daniela Morfino, che ha confessato fra le lacrime, durante la dichiarazione di voto, di essere stata vittima di violenza in passato.

Tentativi di suicidio. Il governo ha reagito alla serie di violenze con provvedimenti nei confronti dei più giovani, che hanno però raccolto molto scetticismo da parte degli addetti a lavori, magistrati del tribunale dei minori, psicoterapeuti, educatori. Tutti d’accordo sul fatto che, salva la massima severità su spaccio e droga, dove spesso i più giovani sono utilizzati come manovalanza non punibile dalle organizzazioni criminali, sarebbe più importante la prevenzione, la rivitalizzazione delle periferie, scuole aperte, strutture sportive, presenza nelle comunità degli psicologi, visti pure gli allarmanti dati sui tentativi di suicidio che coinvolgono un’alta percentuale di ragazze, purtroppo. Non bastano i blitz delle forze dell’ordine. 

Interessante l’intervista, comparsa su Domani del 9 settembre, a Roberto Di Bella, presidente del tribunale dei minori a Catania, dove esiste un gigantesco problema di dispersione scolastica, analfabetismo e infanzia negata, che necessiterebbe di un forte piano nazionale. Di Bella è il padre di “Liberi di scegliere”, un piano nato in Calabria, che ha permesso di interrompere la catena della cultura mafiosa a 30 donne con figli e a numerosi ragazzi di lasciare la famiglia mafiosa per rifarsi una vita altrove.

Diaz e Ocasio-Cortez. Nella settimana dal 4 al 9 settembre -sottolinea la Rassegna Sui Generis- ci sono state 852 firme in prima pagina di uomini, 284 di donne. Editoriali e commenti in prima pagina: 145 uomini e 25 donne. Interviste:  230 a uomini e 57 a donne.

Degne di nota le interviste a Yolanda Diaz, ministra del lavoro spagnola su Repubblica di giovedì e (sulla Stampa dello stesso giorno) ad Alexandria Ocasio-Cortez la deputata più giovane della sinistra Usa. Diaz ha parlato di Europa, del patto di stabilità, dell’aumento dei tassi, ma soprattutto di lavoro e salario minimo: “Aver fissato il salario minimo in Spagna a 1080 euro, ha ridotto le disuguaglianze, quei soldi hanno consentito in tempo di crisi di resistere. Nello stesso periodo siamo riusciti a ridurre la differenza retributiva tra uomini e donne di 4 punti. Salario minimo, battaglia di civiltà”. Ocasio-Cortez, dall’altra parte del mondo, racconta a Lulu Garcia Navarro della sua vita di ragazza di 33 anni, deputata dal 2018, e di come l’esercizio della politica l’abbia plasmata, obbligandola a lavorare più del doppio di un uomo per uscire dall’anonimato, in un ambiente che le era ostile, anche nella sua parte politica.

Il bacio rubato. Si è conclusa in parte la vicenda Rubiales, col bacio rubato alla capitana della nazionale del calcio femminile di Spagna Jenni Hermoso. Dopo l’allontanamento del dirigente sportivo Luis Rubiales e la denuncia in procura formalizzata da Hermoso è saltato anche il ct della nazionale Jorge Vilda che di Rubiales era un protetto, subito sostituito dalla sua vice Monsè Tomè. Giulia Zonca, inviata sportiva della Stampa scrive che questa “non è la storia in cui un uomo travolto dalle emozioni bacia a sorpresa una calciatrice, ma è l’epilogo di pessime abitudini portate allo strazio. Non è il bacio tra Breznev e Honecker, né quello che si scambiano le staffettiste russe quando vanno a medaglia, non esiste una tradizione o una provocazione o una comunicazione, c’è solo una persona mal sopportata da un gruppo che si prende una libertà e lo fa non tanto per baciare, ma per darsi importanza”. 

Egonu in panchina. Si è scritto molto di Paola Egonu, donna di punta dell’Italvolley, relegata in panchina agli ultimi Europei, dai quali le azzurre sono uscite con le ossa rotte. Un comunicato molto freddo annuncia dopo l’eliminazione che l’atleta italiana non parteciperà alle qualificazioni per le Olimpiadi 2024. Il resto, l’isolamento come riserva, il distacco dalle compagne di squadra, i pochi minuti in cui Egonu è stata chiamata in campo senza riuscire a entrare in partita, perché subito richiamata fuori dal ct Davide Mazzanti, danno l’idea di una situazione arrivata forse a un punto di non ritorno. “I giornali di destra -scrive la Rassegna di GiULia- non hanno perso l’occasione per attaccare l’atleta e, alla vigilia degli Europei, il primo carico l’aveva portato il fenomeno editoriale dell’anno, il generale Roberto Vannacci, scrivendo che le fattezze della ragazza non rappresentano certo l’italianità. “Vietato criticare la Egonu, sennò sei razzista“, titola allora La Verità del 7 settembre sopra un commento di Giorgio Gandola, che la definisce “una delle icone pop del progressismo da salotto”, pur  chiamandola “atleta sublime”. Ancor più esplicito Daniele Dell’Orco su Libero, con titolo: “Rovinata dagli antirazzisti, Egonu da atleta a caso politico”. La tesi è che è famosissima non tanto perché è brava, ma perché corrisponde al fenotipo che piace alla sinistra, in quanto figlia di nigeriani, donna gender fluid e quindi in quanto tale pompata da politica e giornali. 

Pesi leggeri. Una bella storia la vittoria di Pamela Malvina Noutcho Sawa, nostra connazionale, nuova campionessa italiana dei pesi leggeri nella boxe femminile, che l’8 settembre ha battuto ai punti a Casoria, in provincia di Napoli, la marchigiana Nadia Flalhi. Pamela, oggi 31 enne, è arrivata in Italia a 8 anni dal Camerun.  A Bologna si è laureata in scienze infermieristiche e lavora  all’Ospedale Maggiore del capoluogo. Atleta professionista allenata dalla Bolognina Boxe, nel 2021, da dilettante, aveva vinto i campionati italiani assoluti di boxe, categoria 64 chilogrammi. Repubblica le ha dedicato un’intervista di una pagina uscita alla vigilia del match.

Donne presidente. Saranno due donne, nel giugno dal prossimo anno, a sfidarsi per la carica di presidente del Messico. Diversissime fra loro Claudia Sheinbaum, ex sindaca di Città del Messico, rappresenta la coalizione di sinistra del presidente uscente Lopez Obrador e proviene da una famiglia della media borghesia. Xochiti Galvez, della coalizione di opposizione, è invece cresciuta in un villaggio, si è laureata in ingegneria grazie ad una borsa di studio. Entrambe hanno lottato per emergere in un paese dove la violenza nei confronti delle donne ha numeri da record e dove le centinaia e centinaia di femminicidi vengono in minima parte trattati come tali da un punto di vista investigativo e giudiziario. Eppure qualcosa si muove anche in Messico: mentre veniva annunciata da parte della maggioranza la candidatura  di Sheinbaum, la Corte Suprema annunciava la decisione storica di depenalizzare l’aborto in tutti gli Stati del Paese, stabilendo che ogni entità federale dovrà offrire il servizio gratuitamente in strutture pubbliche. Comunque vadano le elezioni  di giugno, entrambe le candidate si sono dette favorevoli alla depenalizzazione, Galvez anche contro il parere della sua coalizione. Repubblica dedica una pagina alle due candidate, relegando la notizia della depenalizzazione dell’interruzione di gravidanza nelle ultime righe della pagina. Il Manifesto e Domani puntano più su quella che sarà la difficile applicazione della legge in tutti gli Stati.

I guai di Birmingham. Nella seconda città più popolata dopo Londra, il Comune ha sospeso ogni finanziamento a una delle moschee della città, dopo che l’imam, durante un sermone, ha mostrato frammenti di un video sulla lapidazione di una donna adultera.

Ma i conti non torneranno ugualmente, per colpa di un salatissimo conto da pagare a 174 dipendenti del comune, insegnanti, addette scolastiche, cuoche, donne delle pulizie per anni vittime di discriminazioni retributive rispetto agli uomini. La notizia la scrive per primo il Sole24 ore, poi ripreso in modo vario da tutti i quotidiani. Si parla di 900 milioni di euro, circa 760 milioni di sterline, che la città governata dai laburisti dovrà versare alle donne lavoratrici e tale da poter portare il Comune al fallimento.

Tensione a Parigi. Dopo che il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso di una associazione islamica contro il divieto di abaya introdotto in tutte le scuole di Francia. Abaya è un indumento lungo portato dalle donne di religione islamica come simbolo di appartenenza, anche se non nasce come abito religioso. Mercoledì scorso, primo giorno di scuola in Francia, diverse decine di studentesse hanno disobbedito e sono state rimandate a casa. Un dibattito che divide il Paese fra chi ritiene che il divieto sia un attentato alla libertà religiosa e chi invece è convinto che la scuola debba essere laica e uguale per tutti.

Rifiutare il velo significa in altri posti del mondo morire o finire in carcere. Come in Iran, dove le rivolte di piazza di un anno fa, dopo la morte della giovane Mahsa Amini, hanno lasciato il posto alla disobbedienza civile e a una repressione molto meno evidente, ma non meno pericolosa. Restano sospese diverse condanne a morte e sono sotto processo senza garanzie intellettuali, giornaliste e giornalisti.

La rassegna di GiULia è un lavoro di squadra. Barbara Consarino con Caterina Caparello, Gegia Celotti, Laura Fasano, Paola Rizzi, Luisella Seveso e Maria Luisa Villa.

(nella foto, Pamela Malvina Noutcho Sawa)

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