di LUCIANA BORSATTI
“Non mi sono mai alleata con nessun governo straniero e sono orgogliosa di essere rimasta una voce per il popolo”. Lo ha detto la giornalista Elaheh Mohammadi nella seconda udienza del processo a suo carico svoltasi nei giorni scorsi davanti alla Quindicesima sezione della Corte rivoluzionaria a Teheran. Le autorità “dovrebbero ascoltare i loro cittadini, piuttosto che incarcerare ed emarginare i giornalisti”, ha aggiunto, secondo quanto riferito sui social dal marito, Saeed Parsaei. Era processata a porte chiuse come la collega Niloufar Hamedi che, in un distinto procedimento, ha detto: “Sono immensamente orgogliosa del mio ruolo di giornalista e del lavoro che ho fatto”. A renderlo noto il marito Mohammad Hossein Ajorlou, che ha anche riferito che l’avvocato ha avuto poco tempo per presentare la difesa. Ora si attende la sentenza.
governo ostile
Le due giornaliste sono in carcere dal settembre scorso, dopo essere state accusate di collaborazione con il governo ostile degli Stati Uniti, cospirazione e collusione contro la sicurezza nazionale, propaganda contro il sistema. Le due udienze dei processi si sono svolte a porte chiuse, nonostante la richiesta di varie organizzazioni nazionali e internazionali dei giornalisti, come la International Federation of Journalists (IFJ) e la Tehran Province Journalists Association (TPJA), che fossero pubbliche. Hamedi era stata la prima ad aver dato notizia della morte di Mahsa Amini dopo l’arresto da parte della polizia morale, dopo aver fotografato l’abbraccio dei genitori nell’ospedale dove la giovane era ricoverata in coma; Mohammadi aveva coperto i funerali della ragazza curdo-iraniana nella città di Saqqez, dove sono cominciate la manifestazioni del movimento Donna Vita Libertà che ha invaso il Paese nei mesi successivi, e non si è mai spento da allora.
Le due, che lavorano per due quotidiani riformisti, hanno respinto le pesanti accuse a loro carico. Il primo agosto il portavoce della magistratura Masoud Setayeshi ha detto che non sono state arrestate per le loro cronache sul caso Mahsa Amini, ma per aver cooperato con il governo Usa. E ha annunciato un prossimo rapporto sul loro caso. Si attende a breve la sentenza.
riconoscimenti internazionali
Nel frattempo le due reporter sono state insignite di vari riconoscimenti internazionali, fra i quali il Premio Unesco per la libertà di stampa intitolato a Guillermo Cano: a riceverlo con loro anche la giornalista e attivista per i diritti umani Narges Mohammadi, una delle più importanti voci dell’opposizione che in questi mesi non ha esitato a far sentire la propria voce anche dal carcere di Evin, dove sta scontando una pena di 16 anni.
Il caso di Elaheh e Niloufar è emblematico della sorte di un centinaio di giornalisti arrestati, 95 secondo il Committee to Protect Journalists (CPJ), dall’inizio delle proteste per la morte di Mahsa Amini. La maggior parte di loro sono stati liberati su cauzione in attesa del processo o del rientro in prigione per scontare lunghe pene detentive, ma alle due colleghe è stato inflitto un lungo periodo di isolamento e oltre dieci mesi di custodia cautelare: molto di più, secondo il legale della famiglia di Mahsa Amini, di quanto previsto dalle norme iraniane. Per il CPJ, nel 2022 l’Iran è stato al primo posto per numero di reporter incarcerati al mondo. Tanto più dunque è significativa la loro determinazione nel dare voce alla gente. Una voce oscurata nella lettura ufficiale degli eventi di questi mesi, attribuiti dalle autorità di governo e dall’establishment a un complotto del nemico esterno (come emerge appunto dall’accusa alle due giornaliste di aver collaborato con gli Usa) e dunque necessaria per una visione della realtà più completa, se non difforme, di quella accreditata dalle autorità e dai media vicini al governo, agli ultraconservatori e a quei settori di opinione a loro prossimi. La completezza e indipendenza dell’informazione sono infatti, come noto, condizioni indispensabili per la sua attendibilità: oscurare consapevolmente fatti noti è invece funzionale alla propaganda, da qualunque parte essa provenga.
(nella foto, Niloufar Hamedi e Elaheh Mohammadi)