di VITTORIO ROIDI

Una nuova legge, ma quale? Il presidente dell’Ordine, Carlo Bartoli, ha deciso di invitare alcuni direttori di testata per aprire il dibattito su come dovrà essere la nuova legge sul giornalismo. E’ già un passo avanti, poiché finora era sembrato che la discussione fosse destinata a rimanere all’interno del Consiglio nazionale prima di approdare, speriamo presto, nelle aule del Parlamento. Una legge che è stata scritta 60 anni fa non può che essere considerata vecchia. Lo è certamente la nostra che, nel lontano 1963, segnò la nascita dell’Ordine dei giornalisti. Professione Reporter, che tutti i giorni racconta cosa accade nel mondo inquieto dell’informazione, già da due anni ha offerto le opinioni di studiosi ed esperti della comunicazione. Occorrono idee nuove e la consapevolezza che non si tratta di fare una legge per i giornalisti ma per i cittadini che hanno diritto ad una informazione più adeguata ai tempi moderni. Il mondo si è trasformato soprattutto a causa di straordinarie invenzioni tecnologiche. Per cui non basterà cambiare virgole o codicilli, né occorrerà buttare giù la casa con tutto ciò che contiene. Se non una rivoluzione, serve una struttura che non metta in dubbio la natura della professione, ma la rafforzi, migliorando le condizioni in cui si svolge il lavoro giornalistico e le capacità dei suoi operatori. Nella libertà, ché senza di quella non può esserci buona informazione.

Proviamo ad esaminare alcuni punti, detto che l’Ordine deve mantenere le proprie finalità originarie: tenuta degli Albi, formazione degli iscritti e controllo sulla dell’attività, come accade per tutte le attività che il Parlamento ha deciso di dover regolamentare e garantire.

Divisione fra professionisti e pubblicisti. Ormai è insufficiente. Ci sono molte persone che partecipano al lavoro giornalistico, con varie funzioni e compiti, le quali non possono entrare nell’Ordine e quindi neppure rispettarne le regole etiche. Occorre un campo più largo, come si dice oggi. Un ragionamento semplice porta a due possibili soluzioni: o si crea una terza figura o si allarga la concezione del pubblicista. Nel ’63 era stato immaginato come un collaboratore dei redattori, che contribuiva dall’esterno al prodotto ma può poteva svolgere anche altre attività. Un’idea che nel tempo non ha retto. Oggi a questa figura possono essere date più sfaccettature (come avviene ad esempio nelle attività sanitarie) oppure prevedere una terza posizione, alla quale far accedere operatori con caratteristiche diverse, che intendono far parte della famiglia giornalistica e ne accettano le regole.

Accesso alla professione. E’ troppo irto di difficoltà. I giornali non assumono, è arduo fare il praticantato, gli Ordini sempre più spesso suppliscono con “dichiarazioni d’ufficio” che rattoppano praticantati irregolari o non ultimati. Un quadro abnorme che non incoraggia chi vuole entrare in professione. Non ci sono molte opzioni. Accanto al praticantato tradizionale, nei casi in cui un gruppo editoriale riesca ad assumere e a garantire una formazione poliforme e completa, servono Scuole di giornalismo di livello universitario, la cui nascita deve essere favorita dagli Ordini regionali in rapporto con le università. Una per ciascuna regione, con 15-20 allievi, sempre sotto il controllo dell’Ordine nazionale, ma con la partecipazione attiva delle aziende. Non si tratta di consegnare agli editori la formazione dei giovani, come una volta si temeva. Ma di responsabilizzare le imprese (finanziamenti, sperimentazione, stage) nel loro stesso interesse e con un’organizzazione rigorosamente sorvegliata.

L’Ordine nazionale deve continuare a garantire lo svolgimento dell’esame di Stato. Ma anche con modalità nuove: la valutazione al termine del praticantato non può essere basata soltanto sulla scrittura, né tantomeno sui quiz, ma attraverso modalità che verifichino in modo più ampio cosa è capace di fare il praticante che intende entrare nell’albo professionale. Le commissioni esaminatrici devono essere composte da giornalisti esperti, ma non basta l’anzianità, devono essere addestrati e inseriti in un apposito elenco nazionale.

Gli Ordini regionali e le Commissioni di disciplina hanno un’autonomia che non sono in grado di esercitare, privi come sono di strumenti che li mettano in grado, ad esempio, di monitorare il lavoro degli iscritti per poter esercitare la propria attività di controllo e far sì che le norme del Testo unico non restino lettera morta, come spesso succede..

Viviamo la straordinaria novità di ChatGPT, computer che possono scrivere al posto dei giornalisti., grazie a una “intelligenza artificiale”, l’hanno chiamata così, che può aiutarci o distruggerci. Dobbiamo accettare la sfida. Spetta al Parlamento trovare soluzioni che mettano i giornalisti in grado di vincerla.

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