di GIAMPIERO GRAMAGLIA

Più le bugie sui media sono grosse, più i patteggiamenti costano; e più teste fanno cadere. Almeno negli Stati Uniti. E avendo pazienza di aspettare un po’. A 27 mesi dall’insurrezione del 6 gennaio 2021, sobillata dall’allora presidente Donald Trump, le “pulizie di primavera” nei media Usa costano 787,5 milioni di dollari di indennizzo alla Fox News, la rete “all news” che tenne scientemente bordone alle fandonie del magnate su brogli elettorali e “vittoria rubata”. E una star della Fox, Tucker Carlson, l’uomo che “sussurrava al presidente”, perde il posto.

Ma, prima dei “cattivi”, avevano pagato i “buoni”. La responsabile dei programmi di informazione, Suzanne Scott, costrinse a dimettersi Bill Sammon e altri suoi collaboratori, che avevano attribuito per primi, la notte delle elezioni, l’Arizona a Joe Biden – un’informazione corretta -, suscitando le ire di Trump che non ammetteva di avere perso in quello Stato. Il dibattito interno alla redazione della Fox, in quelle ore e in quei giorni, mostra il conflitto d’interessi tra “dire la verità” e “compiacere l’audience”, oltre che Trump. Pochi giorni dopo, la Fox lasciò scientemente che la Cnn desse per prima la notizia dell’avvenuta elezione di Biden, pur di non irritare l’audience e Trump.

reputazione distrutta

Con l’accordo fra Fox e Dominion, è così venuto meno un processo che poteva “definire i confini della libertà di stampa” negli Stati Uniti, scriveva sul New York Times German Lopez.

Evitando in extremis il processo martedì 18 aprile, quando già giudice e giuria attendevano l’inizio del dibattimento in un’aula del Delaware, Fox News ha convenuto di pagare 787,5 milioni di dollari a Dominion Voting Systems, che l’aveva citata in giudizio per diffamazione. Dominion, che vende tecnologia elettorale, sosteneva che la Fox avesse distrutto la sua reputazione affermando, pur sapendo che non era vero, che i suoi macchinarti avevano falsato i risultati delle presidenziali del 2020.

Patteggiando, la Fox ha riconosciuto che alcune sue affermazioni sulla Dominion erano false, senza però dovere ammettere in pubblico di avere diffuso artatamente informazioni errate. Il processo sarebbe stato, per la rete, molto imbarazzante: sarebbe durato sei settimane, con suoi responsabili e suoi giornalisti chiamati a testimoniare. Scambi di mail all’interno della redazione, resi pubblici giorni fa, hanno già mostrato che alla Fox tutti erano consapevoli che le rivendicazioni di Trump e della sua campagna non avevano fondamento, ma continuavano a diffonderle e a corroborarle.

indennizzo più alto

“Per quanto se ne sa”, scrive con un pizzico di compiacimento la Cnn, la “all news” concorrente della Fox, che la batte in audience, l’indennizzo di 787,5 milioni di dollari è il più alto mai convenuto negli Stati Uniti in un caso di diffamazione che coinvolge una società mediatica.

Ma pure la Cnn ha qualche guaio in questi giorni: uno dei suoi conduttori più popolari, Don Lemon, è stato allontanato lunedì 24 aprile dopo che alcune sue affermazioni su donne e invecchiamento, riferite, in particolare, alla candidata alla nomination repubblicana Nikki Haley, erano state bollate come sessiste ed avevano suscitato polemiche.

La separazione tra Fox e Carlson fa più rumore del ‘super-indennizzo’, ma non è un fulmine a ciel sereno. Il conduttore, molto vicino a Trump e che avrebbe persino covato ambizioni presidenziali, aveva avuto un ruolo prominente nella diffusione delle notizie false su Usa 2020 e su altre vicende. Carlson, approdato alla Fox all’epoca di Roger Ailes, come Sean Hannity, altro conduttore vedette trumpiano, ha contribuito a definire l’immagine della Fox nell’ultimo decennio e ha pure inciso sulle scelte repubblicane. Ailes è il manager che fece la fortuna della rete, ama poi finì in disgrazia per vicende #Metoo.

lato sessista

Il conduttore conservatore era il più seguito della rete: il suo programma andava in onda alle 20, in “prime time”. Carlson – ricordano i media “liberal” – “promuoveva teorie cospirazioniste, seminava dubbi sulle elezioni presidenziali, sull’insurrezione del 6 gennaio (che a suo dire sarebbe stata fomentata da elementi delle forze dell’ordine sotto copertura), sui vaccini anti-Covid”.

Pure in questa vicenda c’è un lato sessista: secondo il Los Angeles Times, il presidente della Fox, Rupert Murdoch, ha voluto licenziare Carlson anche per la causa intentata da una ex producer, Abby Grossberg, che ha denunciato l’ambiente di lavoro sessista e misogino creato da Carlson e presunte pressioni per fornire una testimonianza fuorviante nella vertenza con Dominion.

Il quotidiano evoca, inoltre, i commenti non lusinghieri di Carlson sui manager del network, emersi nella fase preliminare del procedimento giudiziario: “Potrebbero avere giocato un ruolo” nella fine del rapporto. Carlson denigrava i responsabili della rete e, in privato, diceva ai suoi intimi di odiare “con passione” Trump – “E’ una forza demoniaca, un distruttore” -, mentre in onda manifestava tutt’altri sentimenti.

dipendenti accusati

Per la cronaca delle ultime fasi di questa vicenda ci affidiamo a Serena di Ronza, la brava collega dell’Ansa che ne è stata cronista. Annunciando l’accordo, i legali di Dominion hanno detto: “Fox ha ammesso di avere detto bugie su Dominion, che hanno causato enormi danni alla mia società”. L’amministratore delegato della società John Poulos giudica “storico” il patteggiamento: nel 2021, Dominion aveva fatto causa a Fox per diffamazione chiedendo danni per 1,6 miliardi di dollari.

Al centro del contenzioso, le teorie della cospirazione sulle elezioni 2020 truccate e “rubate” a Trump cavalcate da Fox che, in onda, definiva i dispositivi di voto di Dominion “taroccati” per favorire Joe Biden e accusava i dipendenti della società di pagare mazzette a funzionari elettorali. La Fox ha anche detto che Dominion aveva lavorato per il leader del Venezuela Hugo Chavez.

L’accordo è arrivato dopo che l’apertura del processo era slittata di un giorno, quando i 12 giurati che avrebbero dovuto pronunciarsi sull’azione legale erano già stati scelti. Invece, in aula i giurati hanno solo ascoltato il giudice annunciare che le “parti avevano risolto il caso”. La notizia è costata alla Fox una perdita del valore in borsa dell’ordine del 3%.
La Fox fa buon viso a cattivo gioco: è lieta “di risolvere amichevolmente la disputa con Dominion, così da consentire al Paese di guardare avanti”. Per la Fox, il patteggiamento riflette – sembra quasi un paradosso – “il suo impegno ad alti standard di giornalismo”.

molestie e discriminazione

Invece, per Politico, l’intesa conferma che “nell’universo Murdoch pagare simili patteggiamenti è un modo di condurre gli affari”: il magnate australiano ha precedenti analoghi in Gran Bretagna, nello scandalo delle intercettazioni, e negli Stati Uniti, per risolvere le accuse di molestie e discriminazione salariale nella società.

Gli avvocati del network intendevano invocare il Primo Emendamento della costituzione Usa, sostenendo che le accuse a Dominion di Trump e dei suoi legali erano degne di nota e andavano riportate. Ma le prove che i responsabili e lo staff di Fox sapevano della pretestuosità delle accuse indeboliva questa tesi.

Il processo poteva mettere in difficoltà Rupert Murdoch e suo figlio Lachlan, esponendoli a critiche per la loro supervisione della copertura giornalistica. Il caso non ha invece avuto alcun impatto sull’audience: il network “all news” conservatore continua, infatti, a essere il più visto d’America.

Le grane legali di Murdoch per Usa 2020 non sono però finite. Fox deve ora fare fronte a una causa da 2,7 miliardi di dollari sempre per diffamazione avviata da Smartmatic, altra azienda che produce macchine per tabulare i voti. Come Dominion, anche Smartmatic accusa la Fox di avere diffuso scientemente “dichiarazioni false” sui suoi prodotti, cavalcando le teorie di Trump e dei suoi sodali secondo cui i dispositivi erano truccati per favorire Biden.

Sul patteggiamento, i repubblicani hanno mantenuto un imbarazzato silenzio. Soltanto la deputata della Georgia Marjorie Taylor Greene, una trumpiana di ferro, è uscita allo scoperto: “Abbiamo chi critica ristoranti e automobili, ma non si può criticare una società di dispositivi per tabulare i voti altrimenti si va incontro a una causa per milioni e milioni di dollari”. Il tweet è stato duramente contestato in rete: la Taylor Greene non fa distinzione fra “critiche” e “diffamazione”.

Per la Fox, c’è ora da affrontare il test di Usa 2024. Murdoch da qualche tempo ha preso le distanze da Trump – di cui era stato il megafono nel 2016 e nel 2020 -: caldeggia la candidatura, non ancora ufficiale, di Ron DeSantis. Ma i sondaggi al momento danno l’ex presidente davanti al governatore della Florida nella corsa alla nomination: se l’audience, e non la verità, è la stella polare, la Fox potrebbe fare un’altra capriola.

(nella foto, Tucker Carlson)

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