di MARIO MORCELLINI

Per rispondere all’apertura di dibattito di Professione Reporter, sappiamo bene che viviamo sospesi tra presente e futuro. Questa presa d’atto è resa particolarmente vivida dall’impatto dell’intelligenza artificiale: è chiaro che siamo lontani dal suo avvento originario e ci troviamo ora in quella che possiamo definire la sua sfrontata modernità, almeno rispetto ai primi esperimenti. Oggi dobbiamo infatti parlare di una realtà industriale generalizzata che, per definizione, non può che entrare in conflitto, ma anche in una possibile interazione, con altre attività cognitive e valoriali della storia degli uomini. Stiamo parlando in primo luogo della scienza e della conoscenza su cui è fondamentale che noi riconosciamo il gigantesco processo di aumento del bisogno di sapere e di comunicare negli uomini di oggi, che ha fatto audacemente parlare un celebre psicosociologo americano, Kurt Lewin, di un vero e proprio “disgelo della mente”. Ma l’espressione più concreta in cui ciò si traduce nel nostro tempo è quello dell’aumento di formazione universitaria e post-universitaria. Senza trascurare ovviamente il campo dell’informazione e del giornalismo. Dimensioni, tutte, frontalmente messe in discussione dall’intelligenza artificiale e che dunque debbono al più presto saper organizzare una risposta adeguata.

killer application

Nel caso delle pubblicazioni scientifiche e della formazione accademica, è evidente l’impatto sull’autonomia e riconoscibilità dei testi scritti, ma soprattutto delle tesi di laurea che appaiono vittime perfette di una vera e propria “killer application”, in presenza della capacità più che sofisticata dell’intelligenza artificiale di organizzare discorsi plausibili. Abbiamo già scritto per il quotidiano Il Foglio che una possibile salvezza, sempre considerando il delicatissimo e imprescindibile tema del diritto d’autore, consisterebbe nel riequilibrare il peso che si dà alle tesi di laurea rispetto alla coerenza di un curriculum lungo sempre oltre 20 esami. E’ quindi evidente che in qualche misura attribuendo minor peso allo scritto, il rischio di un testo ottenuto per “copia e incolla”, e dunque di un lavoro con scarsa autonomia anche nella revisione finale, si riduce drasticamente. Ancor più importante è indurre gli studenti a scegliere tesi di ricerca, preferendo temi e territori innovativi. 

crisi di credibilità

Tutto questo adesso ha a che fare con il giornalismo e qui il problema diventa assolutamente rilevante, perché già viviamo una straordinaria crisi di credibilità e affezione sia nei confronti del prodotto giornale che della più ampia produzione informativa multimediale. Diciamo che rischia di più l’informazione stampata tradizionale, perché per quella che rappresenta un network fra video, filmati, foto ed eventuali ulteriori documentazioni grafiche, la probabilità di un testo precotto si attenua; infatti gli elementi di corredo informativi, in un’epoca di centralità del data journalism, offrono un minimo di personalizzazione e dunque superano l’incubo dell’autoreferenzialità. 

Ciò non toglie che la questione rimanga rilevante perché in buona misura i testi dell’intelligenza artificiale sono così ingegnosamente variati da offrire spesso prodotti competitivi. Dobbiamo allora riconoscere che siamo di fronte ad una sfida che mette in questione la preparazione culturale, sia generale che specifica, del giornalista. Mai come oggi questo è l’elemento dirimente; se non c’è, la questione è persa. Si tratta allora di riconoscere che il giornalista è, e deve diventare sempre più, un ricercatore delle fonti, perché al giorno d’oggi sono i dati il vero petrolio di un’informazione moderna, l’unica del resto che può apparire autentico “empowerment” di cittadinanza e persino di partecipazione. Sarà dunque la capacità di organizzare le conoscenze nella forma di cronaca e memoria, l’abilità nella selezione, elaborazione e narrazione a render conto del cambiamento del mondo. Qui il discrimine e la contrapposizione rispetto alla minestra dell’intelligenza artificiale fa apparire quest’ultima “surgelata”, perché sovente si fonda su quel che è ampiamente ripetuto e dibattuto, a danno di ciò che è più nuovo e proiettato al futuro. A parità di condizioni, il giornalismo è più capace di valorizzare segnali deboli e dimensioni aurorali della società rispetto alle pur presenti visioni del futuro della I.A.

mediazione e tutoraggio

Qui la parola “storytelling”, anche se un po’ modaiola, aiuta davvero a capire che ci sono territori della scrittura e dunque del pensiero che attengono alla varietà della vita e alla variabilità delle risposte sia delle persone che degli esperti, delineando un campo in cui la personalità culturale del giornalista vince sull’autoreferenzialità dell’intelligenza artificiale.

Più procediamo in questa analisi più emerge la presa d’atto che l’avvento della I. A. decreta la necessità di una formazione e di un aggiornamento sempre più puntuali, così come l’indispensabilità di figure di mediazione e tutoraggio che rappresentano davvero una garanzia di interazione tra passato e futuro. Ne consegue che ogni tentativo di derubricare o rendere comunque più labile il ruolo di un mentore segna un clamoroso autogol per una professione che ha bisogno di certificare meglio il percorso formativo. Un parere tanto più pertinente perché sono stato l’ultimo Presidente di una Commissione ministeriale per l’istituzione dell’indirizzo universitario di Giornalismo. 

menù novecentesco

Sempre più tale professione ha bisogno di essere riconosciuta e percepita come risorsa di competenza, nella cornice di una tipica progressione della modernità. Non si tratta più di un menù informativo novecentesco; c’è bisogno dunque di estirpare l’idea che si possano pagare i pezzi giornalistici quattro soldi, come vergognosamente avviene ancora oggi. E’ indispensabile riaprire una vertenza più complessa di remunerazione perché il giornalismo, anche se vincesse il modello plebiscitario e tautologico dell’intelligenza artificiale, potrà sopravvivere solo grazie ad una radicale intellettualizzazione della produzione e narrazione della realtà. Il pendolo, dunque, oscilla tra una stanca e standardizzata descrittività (in cui vincerebbe sicuramente la I.A.) e l’avvio della spiegazione e dell’interpretazione del mondo, senza ovviamente la pretesa che il giornalismo sconfini nel “saggio scientifico”. In altre parole, non è detto che l’insidia dell’intelligenza artificiale non sia un’occasione di scacco e riscatto per una nuova stagione.

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