di GIANGIACOMO SCHIAVI

Nella stagione sempre più traballante della stampa quotidiana basta un tweet o un sospiro di Chiara Ferragni per mandare in fibrillazione un sistema e mettere in crisi il mito dei cronisti che vanno sul posto, indagano, verificano e raccontano.

Dove sono, cosa fanno, come lavorano oggi i giornalisti “di gamba e di cervello”, come li chiamava Giampaolo Pansa? E soprattutto: chi sono i nuovi cronisti nell’era dell’informazione ultrapida, di twitter, instagram e facebook: impiegati della notizia in balia dei social o delle paranoie di un hacker, o cacciatori di scoop come alcuni dei venerati vecchi maestri, capaci di vedere, autenticare, illuminare gli angoli bui per i lettori e i naufraghi del web?

verità nascoste

Se la cronaca non vuole ridursi a testimone passivo dell’inflazione comunicativa, l’unica risposta ad algoritmi e fake news è racccontare con coraggio fatti e verità nascoste, cercando di distinguere il falso dal vero. Faceva così il re dei “pistaroli”, Marco Nozza, quando sul Giorno di Italo Pietra ha smontato con i fatti l’accusa a Pietro Valpreda sulla strage di Piazza Fontana. E prima ancora Montanelli, inviato nell’Ungheria del’56, quando deludeva i benpensanti scrivendo che gli insorti non erano borghesi, ma comunisti antistalinisti. Hanno fatto così Andrea Purgatori, in cerca della verita negata sulla strage di Ustica, Gad Lerner, undercovered, nei panni di un clandestino in Italia, Sergio Rizzo e Gianantonio Stella, nell’inchiesta sulla “casta”, fino ai cacciatori di notizie Paolo Graldi, Giovanni Bianconi, Marco Lillo, Gianluigi Nuzzi, Guido Olimpio, Attilio Bolzoni, Marco Travaglio, Maurizio Belpietro. Per citarne solo alcuni.

besozzi e corradi

Ci sono questi nomi di giornalisti in piena attività e c’è la storia in “Scoop, quando i giornalisti fanno notizia” (edito da Antiga, in vendita su Amazon): i pezzi di Besozzi, Buzzati, Corradi, Bocca, Cavallari, Pansa, Panerai.

C’è il viaggio di Fabrizio Gatti e Alessandro Sallusti nel Bronx dalle parti di Musocco, a Milano, diventato fortino dell’illegalità, il giornalismo civile che salva via Bianchi dalla violenza e dal degrado; la rischiosa traversata in barcone dall’Albania all’Italia di Francesco Battistini, che documenta il ricatto degli scafisti; la paziente ricostruzione notturna di Elisabetta Rosaspina che svela i segreti della lottizzazione nella sanità al Pirellone… Ci sono poi gli scoop di Simona Ravizza e Mario Gerevini sugli opachi affari di don Verzè, che mettono a nudo ammanchi e finanziamenti sospetti al San Raffaele; e quelli di Luigi Ferrarella e Giuseppe Guastella, che rivelano lo scandalo dei fondi della regione Lombardia, fino alle dimissioni del governatore Formigoni.

“buco” per tutti

Negli anni Novanta lo scoop degli scoop porta la firma di Goffredo Buccini e Gianluca Di Feo: indagato il premier Berlusconi. E’ un “buco” per tutti, e il colpo finale dell’inchiesta Mani Pulite che ha abbattuto la Prima Repubblica. Con il Cavaliere ci saranno altri due storici momenti: quello di Fiorenza Sarzanini, regina della giudiziaria e attuale vicedirettore del Corriere, sulle notti brave a Palazzo Grazioli con Patrizia D’Addario; e quello di Giuseppe D’Avanzo e Piero Colaprico, di Repubblica, sul caso Ruby “nipote di Mubarak”, con il mitizzato bunga bunga di Arcore.

C’erano negli anni Settanta le cronache di piombo e di passione del Messaggero di Vittorio Emiliani: i verbali del brigatista Peci costarono l’arresto a Fabio Isman, pochi giorni prima dell’assassinio di Walter Tobagi. Poi gli scoop di Paese Sera, le scorribande dei neristi della Notte, gli inseguimenti al catamarano assassino di Florido Borzicchi, grande esclusiva del Resto del Carlino. Anche il giornalismo di provincia inseguiva i miti di “prima pagina”:  l’intervista al fuggiasco del caso Carretta, fatta a Londra dai segugi della Gazzetta di Parma,  è uno scoop con il botto. La Stampa di Fattori, di Scardocchia, di Mieli e Mauro ha sempre dato lezioni di buon giornalismo; i settimanali d’assalto, Panorama ed Espresso, hanno formato una classe giornalistica di fuoriclasse. Repubblica, a suo tempo, ne ha fatto ottimo uso.

anche gratis

“Scoop” è il remake di un mondo e di un mestiere unico e straordinario che molti di noi avrebbero fatto anche gratis, come diceva Biagi (senza farsi sentire dagli editori). Con i cronisti a tempo illimitato, come Vittorio Feltri, che prima di essere direttore e inventore di giornali ha scarpinato a lungo lasciando sempre il segno (la sua cronaca dalla Valtellina alluvionata è esemplare) e Venanzio Postiglione, attuale vicedirettore del Corriere, che in viaggio di nozze a Miami ha ripreso il taccuino in mano per raccontare il delitto Versace, battendo sul tempo la concorrenza mondiale. Con l’omaggio al maestri del giornalismo, c’è l’ incoraggiamento ai giovani reporter dell’era digitale ad avvicinarsi al vero, a non perdere quella bussola che Bernardo Valli ed Ettore Mo indicano nel nudo e implacabile racconto dei fatti. C’è il neogiornalismo, il post giornalismo, il giornalismo agguerrito dei nuovi quotidiani che si nutrono di scoop e rivelazioni, ma quel che vale, anche nell’era di Internet, è essere utili, credibili, documentati. “Senza notizie non c’è giornalismo, ma non c’è giornalismo senza la voglia del cronista di scoprire qualcosa che denunci le derive del potere”, scrive in appendice l’ex direttore del Corriere, Ferruccio de Bortoli. Guardando fuori dalle finestre virtuali, tornando in strada, cercando di vedere quel che altri non vedono o non sanno vedere.

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