di ELETTRA BERNACCHINI

L’informazione si salverà con le “notizie utili”, quelle che interessano le miriadi di comunità locali, che servono a vivere meglio? Con un ritorno sul “terreno”? Con un’attenzione agli esclusi? Con media scritti non solo da maschi bianchi e “normali”?

E’ la tesi del documento intitolato “La roadmap per l’informazione locale. Un nuovo approccio alle esigenze dell’informazione civica”, pubblicato negli Stati Uniti nel febbraio 2023. Si tratta di un report realizzato a fine 2022 attraverso una serie di interviste agli attori del mercato informativo (editori, testate private e no-profit, ricercatori di settore). Qui viene prospettata l’urgenza di abbandonare il “vecchio” modello dei media a vantaggio di un “emergente sistema di informazione civica”. L’indagine vuole essere una prima risposta a un problema preciso: i cittadini non ricevono più, o ricevono poco e male, “notizie utili” per la loro vita civica, intesa come vita organizzata all’interno di una comunità di persone con interessi convergenti. La colpa di questa mancanza è dell’informazione stessa, entrata da tempo in una crisi apparentemente irreversibile.

ventiquattro miliardi

L’analisi della situazione che fanno Elizabeth Green, Darryl Holliday e Mike Rispoli, i principali autori del rapporto, è lucida e impietosa. “Con la crescita di Internet”, scrivono relativamente al mercato statunitense, “l’informazione locale ha intrapreso un precipitoso declino. Tra il 2002 e il 2020, la perdita in termini di entrate annuali è stata di 24 miliardi di dollari, 2500 piccole testate hanno chiuso e molte di quelle rimaste coprono poco il territorio di riferimento, preferendo puntare su temi e cronaca nazionali”. Prima di questo tracollo, il giornalismo locale era “il quarto stato”, un guardiano indipendente delle libertà democratiche che si alimentava di rapporti capillari con il territorio, interessandosi anche delle storie minori, e per questo acquisiva un valore aggiunto agli occhi della comunità di riferimento. Venuto meno questo fattore, i lettori stessi hanno perso interesse nei confronti delle “vecchie” testate. Per rispondere comunque alla fame di informazione, le persone hanno preferito riversarsi nel mare magnum del web, divenendo “sempre più dipendenti dai social network e dalle televisioni, dove il dibattito pubblico è ogni giorno più polarizzato”. 

soggetti sconnessi

Non solo. Un’altra faccia del problema è la limitata rappresentazione della complessità sociale contemporanea. In base ad alcuni studi, l’ultimo dei quali è un sondaggio del 2018 dell’American Society of News Editors, la forza lavoro dei giornali “è sempre stata composta sproporzionatamente da maschi bianchi, normodotati e cisgender tendenzialmente benestanti, istruiti e politicamente tesi più a sinistra rispetto al pubblico di riferimento”. Questa discrepanza, unita alla tendenza narrativa a dare più risalto a notizie sensazionalistiche e costruite su pregiudizi, ha determinato un cortocircuito tra produttori e fruitori dell’informazione. Date queste premesse, la tesi sviluppata dagli autori del report è che, in via strategica, non conviene continuare a tentare di salvare il sistema così com’è attualmente, una struttura basata per lo più sul monopolio di pochi soggetti sconnessi dalle comunità. 

La “nuova informazione civica”, teorizzata nel documento, va nella direzione opposta, quella cioè di puntare su reti “pluralistiche in cui si condividono informazioni e servizi, le notizie sono fluide e il lavoro giornalistico stesso è fatto dai professionisti insieme a coloro ai quali i messaggi sono rivolti”. 

honolulu e indianapolis

Cosa significa, concretamente, fare informazione civica? Nel report sono segnalati diversi esempi di attività già messe in pratica negli Stati Uniti, nate dall’incontro tra le tradizionali pratiche giornalistiche e gli usi migliori delle nuove tecnologie a disposizione. Per fare alcuni esempi: la testata no-profit “Chalkbeat” ha attivato nella città di Indianapolis un servizio sms per i cittadini che documenta le riunioni del consiglio scolastico locale; la newsroom “Documented” di base a New York gestisce un gruppo WhatsApp che fornisce agli immigrati informazioni dettagliate sui servizi sociali cittadini; il giornale “Honolulu Civil Beat” ha creato una newsroom “pop-up” aperta a tutti all’interno della biblioteca pubblica locale; l’Ong Marshall Project ha avviato una pubblicazione cartacea periodica che circola gratuitamente all’interno di diverse carceri statunitensi.
Tutto ciò non sarebbe possibile senza un’ampia rete di soggetti collaboratori più o meno istituzionali, come quella della Documenters Network, uno spazio online per la condivisione dei temi dibattuti nelle assemblee pubbliche di varie città statunitensi, o quella del Listening Post Collective, un progetto editoriale che punta alla valorizzazione di luoghi e gruppi sociali di persone storicamente esclusi dal circuito informativo. Fondamentale in questo nuovo panorama è la stretta collaborazione tra giornalisti di professione e società civile: il punto è non essere più solo osservatori e commentatori dell’attualità, ma protagonisti attivi della prassi informativa.

qualcosa si muove

Traslando il discorso in Italia, si può citare il sito Cittadini Reattivi fondato dalla giornalista Rosy Battaglia, o l’associazione Media Civici diretta da Luca De Biase con base a Trento; ma anche, come segnalato dalla stessa Battaglia in un suo contributo pubblicato nella rivista online Micron di Arpa Umbria, “la maggior parte dei siti e delle piattaforme creati da Ong e associazioni, da Libera a Legambiente, da Openpolis a Greenpeace”. Qualcosa, quindi, si muove anche sul nostro territorio.
Dal punto di vista dell’investimento economico, gli autori del documento nel report “La roadmap per l’informazione locale” segnalano un trend tutto sommato positivo. “Nel 2021, il fatturato del solo settore dei media no-profit ha raggiunto una cifra stimata di 400 milioni di dollari all’anno”, scrivono gli autori. “Se negli ultimi 15 anni gli investimenti si sono concentrati sulla sperimentazione, è arrivata l’ora di concentrarsi sull’espansione” di ciò che funziona meglio, puntando in primis su “nuove forme di finanziamento pubblico e politiche favorevoli alle nuove reti di civic media”. 

L’obiettivo finale di questo sforzo collettivo è invertire la tendenza all’aumento della “disuguaglianza informativa” che colpisce sempre in misura maggiore gruppi sociali già marginalizzati in partenza, come gli abitanti delle province, gli stranieri di prima e seconda generazione, gli indigenti. Il cambio di paradigma auspicato deve partire da chi, finora, è stato escluso, altrimenti tutta l’operazione è praticamente inutile. 

(nella foto, la squadra di Honolulu Civil Beat)

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