di SOFIA GADICI

Storie di freelance in difficoltà, di giornalismo distante dal pubblico e di un’iniziativa virtuosa. La Columbia journalism review, autorevole voce critica della stampa e della comunicazione statunitense, ha analizzato lo stato di salute del giornalismo negli Usa. E ha descritto un malfunzionamento: la difficoltà di accesso alla professione per chi arriva da condizioni non privilegiate, o non ha frequentato le giuste scuole o non ha abbastanza denaro per vivere a prescindere dallo stipendio, che è sempre incostante.

Per descrivere il lavoro del freelance americano sono state presentate diverse esperienze. Hanno tutte un nemico comune: il “pregiudizio editoriale”, che è finanziario e anche culturale.

pennsylvania Agraria

Bobbi Dempsey ha iniziato a raccontare la sua Pennsylvania agraria, da giornalista indipendente, nel 2000. Ha avvertito fin da subito una netta distanza tra sé e i suoi direttori. Presumevano e pretendevano che avesse internet veloce e uno smartphone. Non si preoccupavano del fatto che viaggiasse per i suoi reportage pur non avendo una carta di credito e non potendo, quindi, prenotare un hotel o coprire un deposito cauzionale. Il suo lavoro era una “battaglia costante”. 

Alex Miller ha iniziato a scrivere i suoi primi articoli dieci anni fa, a New York City. I compensi arrivavano in ritardo, non erano continui e lui non riusciva a pagare puntualmente l’affitto e le bollette. Scriveva di povertà, senzatetto e salute mentale, ma i rapporti con le redazioni e con i direttori erano terribili. I feedback negativi che riceveva erano demoralizzanti. Non di rado gli sono stati rivolti anche insulti e ha subito mortificazioni per articoli non approvati. 

riservato a un’élite

Per la Columbia journalism review il giornalismo, specie ad alti livelli, è riservato a un’élite di persone. Le firme autorevoli tendono a laurearsi tutte presso gli stessi college. Secondo uno studio del 2018, pubblicato sul Journal of Expertise, “le redazioni del New York Times e del Wall Street Journal sono alimentate da una manciata di scuole ben selezionate, per fare questo lavoro serve la giusta rete di relazioni”.

Le redazioni così composte, a livello anagrafico, di formazione e dal punto di vista dell’estrazione sociale, sono molto differenti e lontane dal pubblico che servono.

“La maggior parte delle notizie non è creata pensando alle persone che vivono in povertà”, ha affermato Heather Bryant, giornalista e fondatrice di Project Facet. Non solo, la distanza tra giornalisti e pubblico aumenta nel tempo in virtù dei privilegi garantiti ai professionisti. “Ironia della sorte, anche se le fortune economiche dei media sono diminuite precipitosamente – ha scritto lo studioso dei media Daniel Kreiss – lo status dei giornalisti, come gruppo sociale, è migliorato. I giornalisti sono élite altamente istruite, urbane e cosmopolite, molto diverse dal loro pubblico”.

alta qualità

Naturalmente esistono molte realtà che tentano di offrire un giornalismo differente. È particolarmente interessante l’attività dell’Economic Hardship Reporting Project (EHRP), un’organizzazione senza scopo di lucro che supporta i giornalisti indipendenti in modo che possano creare storie avvincenti e spesso in contrasto con le narrazioni tradizionali. L’obiettivo di questo progetto è quello di “iniettare” una nuova tipologia di giornalismo, di alta qualità, nel circuito dei media mainstream. EHRP è nato nel 2012, finanzia e co-pubblica reportage sui media più rinomati, dal New York Times al The Guardian.

Oltre a sperimentare nuovi stili di informazione, EHRP offre migliori grazie di lavoro ai giornalisti indipendenti. “Non facciamo fare i salti mortali ai nostri giornalisti per ottenere finanziamenti”, affermano. I reportage vengono pagati per metà all’inizio del lavoro e per metà alla fine, questo allo scopo di consentire a chi è in difficoltà economiche di coprire le spese necessarie alla sua attività. Inoltre, si occupano di rimborsare la riparazione degli strumenti di lavoro dei loro giornalisti, come i computer. 

Dei freelance che sostengono, il 31% è di colore, il 68% è donna. Dal punto di vista dei contenuti, affermano di compiere costantemente una “interferenza culturale”. Spingono affinché i media parlino maggiormente di povertà e di zone rurali, temi da tempo ignorati dall’informazione blasonata.

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