di VITTORIO ROIDI

“Sono arrivato a Bucha, la fossa comune l’ho vista, i morti sono cinquanta e altri ancora stesi lungo le strade”. Ilario Piagnerelli del Tg1 lo racconta a Porta a Porta, mentre alla stessa ora su La 7 Massimo Giletti ricostruisce, attraverso le immagini riprese dai droni, dove si trovavano quei cadaveri durante la ritirata dei russi da Kiev, prima di essere interrate. 

Solo i cronisti ci hanno dato la verità. Solo Giammarco Sicuro, Stefania Battistini, Semprini, la Fiorani, la Castelletti, Romoli, Frenda, Zellino sono riusciti a darcela, la verità, perché l’hanno vista ed è con i loro occhi che abbiamo saputo veramente cosa è successo a Mariupol, a Kharchiv, a Odessa. La cronaca della guerra, della morte, delle fosse comuni, dei feriti, delle famiglie sterminate, fuggite o nascoste negli scantinati senza cibo né acqua, l’abbiamo appresa solo quando sono arrivati i giornalisti. E alcuni sono gli stessi che per mesi ci avevano raccontato cosa succedeva negli ospedali, nelle terapie intensive, nei paesi della bergamasca stremati dal virus.

nessun segreto

Ci avevano detto che grazie ai computer e ai satelliti ormai le guerre non avrebbero avuto più segreti. Tutto era cominciato con le luci dei razzi traccianti che Peter Arnett della Cnn aveva descritto dalla terrazza dell’hotel Rashid, a Baghdad, durante la Guerra del Golfo, nel 1991. Le battaglie si sarebbero svelate sotto i nostri occhi, la tecnologia ci avrebbe permesso di capire ciò che avveniva a migliaia di chilometri di distanza, le guerre non avrebbero avuto più segreti. Invece trenta anni dopo è chiaro che soltanto cronisti coraggiosi – spesso freelance che non hanno né stipendio né assicurazione e che lavorano con una macchina fotografica e un telefonino – possono scoprire le manipolazioni, sconfessare i comunicati ufficiali, smascherare le foto e le notizie false, rivelare che quei civili sono stati ammazzati con proiettili sparati alla testa.

Pochi sanno che Arnett, che aveva vinto anche un Pulitzer, era stato licenziato per aver criticato la strategie delle truppe Usa. Molti si sono illusi che l’informazione di guerra avesse fatto ormai un salto di qualità. Che non sarebbe stata più quella della Fallaci, di Terzani, di Kapuscinski, di Barzini, di Egisto Corradi, di Zaccaria, una convinzione che si è ancora accresciuta quando grazie alle antenne, ai satelliti e all’intreccio dei messaggi anche i telefonini dei cittadini sono stati in grado di trasmettere in Rete. Ma non è così. Questa guerra criminale scatenata da Putin contro il popolo ucraino mostra che le notizie vere le trovano i cronisti. Il resto sono chiacchiere, opinioni, talvolta consapevoli, altre frutto di fantasia e spesso di menzogne, delle quali molti dovrebbero vergognarsi.

 editori veri

Bisognerà trarne le conseguenze. Gli editori, quelli che vorranno pubblicare la verità, dovranno smetterla di smantellare le sedi di corrispondenza, come hanno fatto negli ultimi venti anni, convinti che un inviato arrivato poche ore prima potesse interpretare cosa pensano gli abitanti di Mosca, di Kiev e degli sterminati territori della Russia e dell’Ucraina. Abbiamo visto che non è vero e che soltanto giornalisti esperti, come Cremonesi, la Mannocchi, Nicastro, la Castelletti, Quirico, dopo anni trascorsi in quei paesi, possono dire cosa pensano gli abitanti, spiegare in che modo la disinformazione di massa, la soppressione della libertà di parola, la chiusura delle redazioni più “libere” possa giustificare l’enorme consenso di cui ancora gode Vladimir Putin.

Lo sterminio delle donne, degli uomini e dei bambini dell’Ucraina ha fatto comprendere ai governanti delle nazioni europee quanto la ferocia di un uomo come Putin sia una minaccia per tutte le nostre democrazie. Ai giornalisti ha mostrato ancora quanto poco la tecnologia sia in grado di portarci alla verità. 

infermieri e cimiteri

Davanti alla guerra come davanti alla pandemia, ci siamo trovati inesperti e insufficienti. Abbiamo scoperto che anche in campo sanitario l’informazione corretta incontra ostacoli: uomini e donne che non credono nella scienza, contraddizioni fra le fonti, persone che non vogliono i vaccini, altre che non sono disposte a mostrare un green pass. Ci volevano cronisti per controllare cosa avveniva nelle stanze asettiche, scoprire infermieri stremati dalla stanchezza, cimiteri che non potevano contenere quelli che non ce l’avevano fatta. E la pandemia è ancora in corso.

Ci sarà tempo, quando avremo alle spalle la guerra e il virus, per analizzare i limiti e gli errori della professione. Per ora sappiamo che poco ci aiuteranno gli algoritmi, che al massimo possono servire a studiare velocemente i dati e aiutare i commercianti di pubblicità a conoscere i desideri dei cittadini. Quanto alle notizie, dovranno continuare a pensarci i giornalisti. Ci riflettano già adesso le centinaia di praticanti che il 27 aprile dovranno affrontare l’esame di stato: non potranno fare il mestiere da dietro al tavolino. La loro tastiera diventerà sempre più piccola e magica, ma dovranno infilarla in uno zaino insieme con un telefonino e, nascosti sul fondo, un elmetto e un giubbotto antiproiettile con la scritta Press, da tirar fuori in casi estremi, insieme a scarpe di ricambio. Speriamo che nelle scuole di specializzazione qualcuno abbia loro spiegato le atrocità e i misteri delle guerre che, Dio non voglia, saranno costretti a raccontare. E speriamo che sia possibile dare dignità ai tanti “cronisti di fatto” che sono tenuti ai margini del giornalismo da una legge scritta quasi 70 anni fa.

LASCIA UN COMMENTO