Un pacchetto di giornate di sciopero all’Espresso, consegnato nelle mani del Comitato di redazione.

Il direttore Marco Damilano si dimette e accusa l’editore, il Gruppo Gedi presieduto da John Elkann di “violazione del più elementare obbligo di lealtà e di fiducia”.

Gedi ha nominato direttore con effetto immediato il vicedirettore Lirio Abbate, che ha scritto: “Mai avrei pensato che tutto ciò accadesse in queste condizioni, ma occorreva dare continuità al lavoro svolto da Damilano”.

Sembra stia per chiudersi un’epoca, quella del prestigioso settimanale della sinistra laica, protagonista di inchieste e campagne coraggiose.

Il Cdr dell’Espresso ha incontrato il 3 marzo l’amministratore delegato del gruppo Gedi, Maurizio Scanavino, per chiedergli chiarimenti riguardo le voci di vendita dell’Espresso al gruppo editoriale Bfc Media, controllato dalla famiglia Iervolino. Danilo Iervolino, 43 anni, imprenditore napoletano, originario di Palma Campania, è proprietario della Salernitana, calcio, ha fondato l’Università telematica Pegaso, che a settembre scorso ha ceduto al Fondo Cvc, per 1 miliardo di euro. Pochi mesi dopo ha acquisito il 51% d Bfc Media, azienda che opera nel settore dell’informazione, editrice di Forbes Italia.

voce critica

Di fronte alle richieste del Cdr, l’amministratore delegato, ha dichiarato che l’azienda non ha ricevuto “alcuna proposta formalizzata”.  

Commento del sindacato: “Dopo mesi di smentite e dichiarazioni in senso contrario, senza che mai negli ultimi anni sia stato presentato alla redazione un chiaro piano di iniziative e di sviluppo per la testata, per la prima volta viene ammessa la volontà di vendere. I redattori dell’Espresso denunciano piani aziendali che mirano a tagliare una voce libera e critica del panorama giornalistico italiano, la testata fondata da Carlo Caracciolo e Eugenio Scalfari, da cui è nato il gruppo editoriale Espresso, il quotidiano Repubblica, che si è poi allargato al gruppo Gedi”. 

non coerente

Il Cdr si dice “preoccupato per il destino del nostro settimanale e di tutte le testate giornalistiche di un editore che non si è fatto scrupolo a definire ‘non coerente con le strategie del gruppo’ il primo newsmagazine di inchiesta italiano”.

L’assemblea dei giornalisti ha consegnato dunque un pacchetto di giornate di sciopero al Cdr, “riservandosi ogni ulteriore iniziativa a tutela del lavoro della redazione e del valore di una testata con 67 anni di storia, protagonista di battaglie civili, politiche e culturali, che hanno inciso in maniera determinante nella nostra società”.

Marco Damilano la mattina del 4 marzo ha scritto una mail all’ingegnere John Elkann, presidente del gruppo Gedi, per comunicare la decisione di lasciare la direzione dell’Espresso.

testata più importante

“Sento in questo momento di dover dare qualche spiegazione ai lettori -ha scritto Damilano sul sito dell’Espresso- che per un giornalista sono i veri padroni. Lascio la direzione del settimanale dopo quasi quattro anni e mezzo di direzione e esattamente dopo ventidue anni di servizio prestato nella testata più importante del giornalismo italiano, un mito per chi fa il nostro mestiere. Fui assunto, infatti, il primo marzo 2001. Entrai con emozione nella mia stanza, nella vecchia sede di via Po, la palazzina liberty affacciata su villa Borghese, con il parquet ai pavimenti, nelle stanze si fumava e si rideva, c’erano Guido Quaranta, Edmondo Berselli e il mio adorato Giampaolo Pansa. Il direttore era Giulio Anselmi, dopo Claudio Rinaldi. Uno squadrone, la redazione più forte d’Italia, in un Paese dominato da Silvio Berlusconi, che di noi aveva paura. Per arrivare alla mia stanza, ogni mattina, percorrevo un lungo corridoio al secondo piano dove quasi sempre incontravo una figura alta e magra, Carlo Caracciolo, il principe-editore. A volte lo incrociavo che si faceva il caffè nella piccola cucina di servizio, altre volte con il cane. Era lì con noi, in mezzo ai giornalisti e al giornale che aveva fondato e che amava più di ogni altra cosa. L’Espresso. Tutto era partito da lì, in effetti: via Po 12, quattro stanze, più una toilette e un altro stanzino, nel 1955. «Eravamo agitati, emozionati, felici, impauriti allo stesso tempo. Sembrava di partecipare al varo d’una nave, della quale nessuno conosceva con esattezza forma, dimensioni e strutture», ha scritto Eugenio Scalfari che con Caracciolo partecipò alla fondazione. Da quella nave Espresso è partita una flotta di modernità, di progresso, di costruzione della democrazia italiana: prima con la nascita di Repubblica, nel 1976, poi con la rete dei giornali locali, infine con il gruppo Gedi, dopo la fusione con la Stampa”.

mafie e massonerie

L’Espresso, prosegue Damilano, ha segnato la storia del giornalismo italiano. I diritti civili, le grandi inchieste, la lotta contro le mafie, le massonerie e tutti i poteri occulti, la laicità dello Stato, l’ambiente, la tenuta della democrazia italiana: “Siamo sempre stati schierati, a volte sbagliando, ma mai venendo meno al nostro codice genetico. Sono le stesse battaglie che abbiamo portato avanti in questi quattro anni e mezzo. L’Espresso ha raccontato l’Italia che cambia, con l’inizio della nuova legislatura, nel 2018, il governo dei sovranisti e dei populisti e poi l’incubo della pandemia, dal 2020. Abbiamo rivelato, con inchieste che hanno fatto il giro dei media mondiali, i legami tra la Lega di Matteo Salvini e il regime di Vladimir Putin, abbiamo anticipato il processo in Vaticano nei confronti di un cardinale costretto a dimettersi. Abbiamo tenuto fede al nostro patto con i lettori: essere una testata libera, accogliente, indipendente”.

“In una situazione di crisi del mercato editoriale -prosegue Damilano- e con la difficoltà di far decollare la transizione digitale sempre annunciata e mai praticata. Mentre i giornali tradizionali perdono copie, lettori, peso politico, credibilità, fiducia.

perdere identità

La categoria dei giornalisti fatica a parlarne, si attarda nella difesa di quote di mercato sempre più ridotte. Gli editori tendono a scaricare le colpe della crisi sui costi industriali della produzione. Il mondo imprenditoriale, intellettuale e politico non riesce a inquadrare il tramonto della stampa italiana all’interno di una questione più importante, perché tocca da vicino la tenuta delle istituzioni democratiche. Si pensa di risolvere la situazione rincorrendo le nuove opportunità offerte dal digitale, come in altri parti del mondo. Anche in Italia ci sono imprese che stanno dimostrando di saper affrontare con successo le sfide della transizione. Ma non si può farlo immaginando di perdere la propria identità”.

Ed ecco le parole pesanti nei confronti dell’editore: “Ho appreso della decisione di vendere L’Espresso da un tweet di un giornalista, due giorni fa, mercoledì pomeriggio. Ho chiesto immediati chiarimenti all’amministratore delegato Maurizio Scanavino, come ho sempre fatto in questi mesi. Mesi di stillicidio continuo, di notizie non smentite, di voci che sono circolate indisturbate e che hanno provocato un grave danno alla testata. Non mi sono mai nascosto le difficoltà. Ho più volte offerto la mia disponibilità in prima persona a trovare una soluzione per L’Espresso, anche esterna al gruppo Gedi, che offrisse la garanzia che questo patrimonio non fosse disperso. Ma le trattative sono proseguite senza condivisione di un percorso, fino ad arrivare a oggi, alla violazione del più elementare obbligo di lealtà e di fiducia. La cessione dell’Espresso, in questo modo e in questo momento, rappresenta un grave indebolimento del primo gruppo editoriale italiano. È una decisione che recide la radice da cui è cresciuto l’intero albero e che mette a rischio la tenuta dell’intero gruppo. L’Espresso è un pezzo di storia dell’intero Paese. Un Paese che rischia di diventare ancora più fragile in una funzione essenziale, la libertà di stampa, l’autonomia del giornalismo dai poteri, il ruolo critico di controllo verso chi governa le strutture politiche, economiche, finanziarie”.

nulla di personale

Conclude Damilano: “Per questo non c’è nulla di personale in questo mio saluto. L’Espresso è sempre stato la mia casa e Gedi ha garantito il lavoro del nostro giornale. Ma se la casa viene cambiata, dall’arredamento alle suppellettili, fino a venderla, non resta altro da fare che prenderne atto. È una questione di coscienza e di dignità. Mi è stata offerta la possibilità di restare, ringrazio, ma non posso accettare per elementari ragioni di dignità personale e professionale. Non è una questione privata, spero che tutto questo serva almeno a garantire all’Espresso un futuro e ad aprire un dibattito serio sul ruolo dell’informazione nel nostro Paese. Ho cercato sempre di fermare una decisione che ritengo scellerata. Mi sono battuto in ogni modo, fino all’ultimo giorno, all’ultima ora. Ma quando il tempo è scaduto e lo spettacolo si è fatto insostenibile, c’è bisogno che qualcuno faccia un gesto, pagando anche in prima persona”.

Professione Reporter

(nella foto, Marco Damilano, direttore dell’Espresso)

1 commento

LASCIA UN COMMENTO