Repubblica è caduta nella trappola. Ha criticato sulle sue pagine il trattamento di un precario. Ma quel precario lavorava da anni proprio a Repubblica. Il coordinamento dei precari di Repubblica protesta. 

Non ci sono altre reazioni. Nessuna scusa, nessuna contrizione. Silenzio da azienda e Direzione, nella speranza che il caso sia dimenticato e soprattutto che i precari continuino a fare i precari, senza chiedere né ottenere condizioni meno dure. 

Con ordine. Domenica 5 settembre nella rubrica delle lettere “Posta e risposta”, tenuta dalla firma del giornale Francesco Merlo, esce questa missiva: “Caro Merlo, sono un grafico di 37 anni. Negli ultimi sei anni ho lavorato quotidianamente ed esclusivamente per la stessa azienda. Ora, invece del contratto da dipendente, mi è stato chiesto di firmare un foglio in cui dichiaro di essere un fornitore esterno, rinunciando a qualsiasi diritto acquisito. Non so cosa fare: firmare e continuare a lavorare da finta partita Iva o dire basta a questo sfruttamento cercandomi un altro lavoro, magari per la consegna del cibo a domicilio?”.  Firmato: Tobia Bufera.

video reporter

Pronta e brillante, come al solito, la risposta di Merlo: “Si partì con la flessibilità, che avrebbe reso moderno il mercato del lavoro, e si è arrivati ai trucchi del precariato eterno. Aspetti però di trovare di meglio delle consegne a domicilio prima di andarsene al grido di ‘Ccà nisciuno è… flesso’”.

Secondo atto. Sui suoi profili social il giornalista Fabio Butera rivela di essere lui Tobia Bufera (anagramma del vero nome). Butera ha lavorato a lungo a Repubblica come video-reporter: “Sono contento che Francesco Merlo, che son sicuro mi perdonerà le petit jeu, abbia definito, anche se inconsapevolmente, le modalità di impiego dell’azienda per cui io lavoravo e per quale lui tuttora lavora ‘trucchi da precariato eterno’”.

tribunale del lavoro

Butera un anno fa a Repubblica fece un colpo, si finse rider e raccontò dall’interno la vita disperata e affannosa della figura esemplare del precariato. In un altro messaggio ha raccontato: “Caro Merlo, ho solo in parte inventato la storia di un grafico che per sei anni ha lavorato quotidianamente ed esclusivamente per un imprecisata azienda come finta partita iva fino al momento in cui gli viene chiesto di firmare, per continuare a lavorare, un foglio in cui rinuncia ai diritti acquisiti. Ecco quella storia è la mia, uniche differenze: non sono un grafico ma un giornalista e l’imprecisata azienda è Repubblica, il giornale per cui tu lavori. Mi scuso con te per aver ritenuto di utilizzare questo escamotage per vedere rese pubbliche le brutte modalità lavorative di cui sono stato protagonista. Ho presupposto, forse sbagliando, che con la mia vera identità non le avresti pubblicate. Altra precisazione che devo fare è che il ricatto ‘firma o non puoi più lavorare’ , quello che tu definisci ‘trucco da precariato eterno’ è avvenuto tre anni fa, nel novembre 2018. A quella richiesta ho opposto il mio rifiuto e così non ho potuto più lavorare per il giornale a cui negli anni avevo dedicato tanto impegno e passione. Per vedere riconoscere i miei diritti mi sono rivolto ad un tribunale del lavoro che pochi mesi fa ha stabilito che negli anni in cui lavoravo per Repubblica inquadrato come collaboratore a partita iva avrei dovuto essere assunto come redattore inviato. Dopo il torto subito, un piccolo risarcimento da parte della tanto vituperata Giustizia, a cui avrei preferito non dover ricorrere. Ma questo è il mondo del lavoro contemporaneo: pochi che fanno grandi profitti e tanti lavoratori il più delle volte soli, fragili e ricattabili la cui unica speranza è il diritto del lavoro, eredità di conquiste ottenute in un’epoca sempre più lontana. Sicuro della tua comprensione per il mio petit jeu di ieri. Ti ringrazio».

appuntamento mancato

Atto terzo. Interviene il Coordinamento dei precari di Repubblica: “Questa vicenda si inserisce in un periodo in cui il Coordinamento dei precari di Repubblica ha chiesto più volte, senza mai ottenerlo, un appuntamento con l’azienda per avere chiarezza sul futuro di precari storici. Lo stesso Coordinamento che viene accusato di essere anonimo e che in realtà ha il volto dei precari storici di Repubblica e una rappresentanza riconosciuta dal sindacato dei giornalisti e che ha incontrato più volte i due Comitati di redazione di Repubblica che sono stati in carica nell’ultimo anno e mezzo”.

Le motivazioni dell’anonimato, concludono i giornalisti, “si capiscono da quanto capitato a un precario storico pagato ‘a pezzo’ da oltre 20 anni: dopo avere chiesto la stabilizzazione del suo rapporto di lavoro si è visto mettere alla porta per problemi di budget”.

Atto quarto. Non c’è alcun atto quarto. Merlo non ha commentato con la sua ironia l’incidente di cui è stato vittima. La Gedi, azienda proprietaria di Repubblica, non ha convocato finalmente il Coordinamento. Né ha deciso di migliorare le condizioni dei suoi precari (che sono simili in quasi tutte le aziende editoriali). Si va avanti con le stese abnormi (s)regole che caratterizzano questa fase storica del giornalismo italiano.

Professione Reporter  

(nella foto, Fabio Butera)

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